11 Gennaio 2010, 16:37
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“Ormai si sta chiudendo un ciclo, legato a un ruolo forte della dimensione pubblica nell’economia. Chi oggi in Sicilia pensa di poter perpetuare un’idea assistenziale dello sviluppo, è fuori dal mondo”. Parola di Ivan Lo Bello, il presidente di Confindustria Sicilia che da quando, nel 2007, lanciò il suo anatema contro gli imprenditori che non denunciano il pizzo, ha visto accrescere a dismisura la sua popolarità. Una popolarità tale da spingere alla sua corte i politici di mezza Sicilia e indurre il Pd a proporgli la candidatura – gentilmente respinta dall’interessato – a presidente della Regione. “Livesicilia” lo ha intervistato per conoscere la sua opinione sui temi caldi della politica e dell’economia siciliana.
Presidente Lo Bello, dopo la vicenda dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, c’è il rischio che l’Italtel chiuda la sede di Carini. È una fase difficile per l’industria in Sicilia, qual è la causa?
“Credo innanzitutto che non bisogna fare un’analisi dei singoli casi. Da tempo, alcune aree della Sicilia si trovano ad affrontare una contrazione forte della loro produzione industriale, ma sarebbe sbagliato pensare che queste difficoltà dipendano solo dalla crisi congiunturale. La causa vera di questo processo è che negli ultimi decenni è prevalso un modello che ha privilegiato la rendita clientelare e l’assistenzialismo, che drena risorse e indebolisce la realtà produttiva. Il sistema produttivo è stato messo in secondo piano, quando invece si sarebbe dovuto pensare al suo potenziamento, migliorando le infrastrutture e puntando sulla formazione e sulla qualità dei servizi pubblici locali. L’amministrazione della cosa pubblica gioca un ruolo chiave, perché è chiaro per esempio che lo spettacolo delle nostre strade invase dai rifiuti è dannoso per l’immagine della Sicilia e penalizza le imprese. Il governo deve adottare una strategia precisa per rilanciare le imprese, lasciando da parte la logica degli incentivi che non ha cambiato le cose”.
A proposito di governo. I numeri all’Ars dicono chiaramente che senza il sostegno del Pd, il governo è in minoranza.
“Io mi occupo di tutto tranne che di alchimie politiche. Sono convinto che il governo possa andare avanti, cercando la sua legittimazione sul tema delle riforme radicali. È in questo campo che deve trovare il consenso”.
Che consigli dà al governo Lombardo per rilanciare il settore industriale e, in generale, l’economia siciliana?
“Credo sia prioritario dar corso alla riforma della burocrazia regionale: la legge attuale può essere perfezionata in molti punti e, in questo senso, bisognerebbe avviare un dialogo con la giunta. Poi è indispensabile far funzionare i servizi pubblici e avanzare una riforma della formazione professionale, in modo che i soldi vengano spesi in base ai bisogni che provengono dal mercato. Il governo deve fare un passo indietro nella gestione diretta delle aziende, in quanto ci sono aziende controllate dalla Regione che potrebbero benissimo stare sul mercato. A questo governo va però riconosciuto di aver fatto un passo in avanti, almeno sul piano delle intenzioni, verso l’abbattimento della cultura dell’intermediazione che tanti danni ha creato all’Isola”.
Quali sono i principali ostacoli al radicamento di una forte cultura d’impresa in Sicilia?
“Il principale ostacolo è culturale. Fin quando la cultura della rendita prevarrà sulla cultura del mercato e della concorrenza, non potrà esserci un tessuto imprenditoriale forte. Il governo Lombardo adesso dovrà avere il coraggio di proporre delle riforme dettagliate e inquadrate in precisi provvedimenti: è evidente che non si tratterà di processi indolore perché le riforme che servono alla Sicilia non possono che toccare privilegi consolidati”.
Da quando è alla guida di Confindustria Sicilia, lei ha dato grande impulso alla lotta al racket. Quali passi in avanti sono stati fatti?
“Rispetto ad alcuni fa sono stati fatti dei progressi importanti, grazie alla collaborazione sia delle istituzioni sia della società civile. Però deve essere chiaro che la lotta alla mafia non si riduce alla lotta al pizzo. Bisogna contrastare il potere che ha la mafia nella regolazione dei mercati, combattere la sua presenza nelle aziende grandi e piccole e, inoltre, va limitata quella zona grigia che è il grande elemento di forza di Cosa Nostra”.
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11 Gennaio 2010, 16:37