“Si faceva la bella vita…”| Confessione di uno spaccaossa

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13 Dicembre 2019, 19:23

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PALERMO – È più di una confessione piena e dettagliata. È il racconto di un sistema marcio che speculava sulla miseria di chi si faceva spezzare gambe e braccia per truffare le compagnie di assicurazione.

Antonino Di Gregorio, 44 anni, è stato il capo di una banda di spaccaossa. Lo scorso aprile è stato arrestato e due mesi dopo ha ammesso le proprie responsabilità davanti al procuratore aggiunto Sergio Demontis e ai sostituti Francesca Mazzocco e Andrea Zoppi. Ha confessato, ma è ancora in carcere.

Il suo verbale è un viaggio dentro una Palermo disperata dove esiste un mercato dei falsi incidenti. C’è il forte rischio che, nonostante i tanti arresti degli ultimi mesi, qualcuno stia portando avanti gli affari sporchi. Le pratiche si comprano “ad ogni angolo di strada” o “davanti al bar”, racconta Di Gregorio. È la naturalezza con cui lo dice che fa ancora più male.

Il “business” – per lui erano affari nient’altro che affari – inizia “nel 2010-2011″, quando “mio padre si è rotto l’omero e mi sono recato presso lo studio della Gallano e del Campisi (Elena Gallano ed Ermanno Campisi facevano parte pure loro dell’organizzazione) che si occupavano della trattazione di pratiche assicurative dal punto di vista delle incombenze amministrative e burocratiche”.

Di Gregorio pensò: “Devo fare qualcosa di più leggero che non mi porti in carcere… (aveva dei precedenti penali)… purtroppo Palermo offre poco e mi sono dovuto arrangiare”. Per Di Gregorio arrangiarsi voleva dire spezzare gambe e braccia per truffare le assicurazioni.

“Campisi mi ha preso in simpatia – aggiunge – e mi ha introdotto in un tipo di business in cui c’erano soggetti che si recavano in pronto soccorso per incidenti spesso domestici dichiarando che erano stati investiti e avevano necessità di farsi gestire la pratiche per ottenere fraudolentemente risarcimenti dalle assicurazioni”.

Nel 2017 si resero conto che dovevano cambiare modus operandi perché stavano perdendo una grossa fetta di mercato, quella composta da gente disposta a farsi fratturare una gamba o un braccio pur di incassare gli indennizzi: “Abbiamo mutato la nostra attività e abbiamo cominciato ad occuparci di casi in cui le fratture venivano appositamente inflitte per ottenere i risarcimenti. Se non l’avessi fatto io l’avrebbe comunque fatto qualcun altro e noi non riuscivamo più a lavorare senza evolversi in questo modo perché ormai a Palermo facevano tutti questo”.

La concorrenza era spietata: “… andavo in giro tutto il giorno, cercavo qualche polizza, c’è molta povertà, gli davo 5, 600 euro… mi vendevano la polizza e facevo partire l’iter assicurativo… poi siamo arrivati a questi tempi moderni dove le persone purtroppo direttamente si facevano fratturare le ossa… non le volevamo fare, poi abbiamo visto che il business rendeva a Palermo, se non lo prendevo io se le prendeva qualche altro”.

Ed infatti, aggiunge Di Gregorio, “ogni angolo c’era una persona che comprava pratiche… di fronte all’ospedale Civico, al bar, c’è un viavai, un continuo… perché uscivano dal pronto soccorso… loro stavano lì e si vendevano le pratiche… qualcuno si avvicinava… te la devi vendere la pratica? Io ero per il popolino, mi sapevo muovere meglio… io sapevo parlare meglio con la gente per strada che ha più bisogno”.

Fu con i soldi del risarcimento danni incassato dal padre che Di Gregorio accumulò le risorse necessarie per incrementare il business: “Univamo i soldi e ci prendevano la pratica, 2.000, 2.500…”.

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E qui comincia la parte più macabra del racconto: “… i danni che si facevano erano di solito, radio, omero, ulna, tibia e perone… Mocciaro (Francesco Mocciaro è un altro indagato) mi portava il ragazzo così pronto… mi portava la persona danneggiata”.

Quindi si metteva in moto la rete dei complici: “Inguglia (Filippo Inguglia, infermiere dell’ospedale Civico in pensione) prendeva il referto… lo conoscevano e gli davamo le 20, 30 euro e andava a uscire il foglio al pronto soccorso…”. Sempre Inguglia recuperava la Calciparina e qualche antidolorifico”, farmaci da somministrare dopo avere procurato le fratture alle vittime-complici. Altro complice sarebbe stata la moglie di Mocciaro, Antonia Conte che “era infermiera al Civico… me lo ha detto il Mocciaro che procurava tutte cose sua moglie”.

La banda avrebbe ottenuto anche risarcimenti di 30 mila euro per ogni singola pratica. L’accordo prevedeva che dividessero la cifra a metà con la vittima, ma alla fine Di Gregorio tratteneva per sé il grosso della somma, sostenendo di avere dovuto affrontare maggiori spese. Il giro di affari era enorme.

Campisi, anche lui ha confessato, ricorda che “dal 2014 Di Gregorio ha portato 40-50 pratiche nello studio in via Marchese Ugo”. Ma di studi, o pseudo tali, di infortunistica collusi ce ne sono altri.

Patrizia Alaimo, altra reo confessa, ricostruisce la fase esecutiva. Il suo compito era quello di reclutare nuove vittime: “Prendevo 200 euro per ogni potenziale vittima”, cifra che cresceva nel caso di Mocciaro. “Prendeva 250 euro ad arto rotto”. I picchiatori si davano appuntamento in un appartamento di via Salamone Marino.

E c’era la fila: “Si faceva la bella vita – mette a verbale Di Gregorio – purtroppo ora la stiamo pagando… i soldi me li mangiavo, me li giocavo pure e ora mi trovo qua”.

 

 

 

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13 Dicembre 2019, 19:23

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