Siamo tutti camicie nere | (e Sciascia l’aveva capito)

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12 Ottobre 2010, 16:27

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Qualcuno scrisse, oltre trent’anni fa, che il nostro è un paese profondamente fascista. E che nel fascismo avrebbe continuato a crogiolarsi, del Regime avrebbe sempre avvertito il fascino. Di un fascismo diverso, però, scriveva Leonardo Sciascia (quello scrittore, per intenderci, che l’assessore Centorrino vorrebbe fare scomparire dalla memoria del siciliano, o quantomeno relegare nello scaffale dei perdenti). Fascismo, comunque. Un regime, cioè, che consentisse ai cittadini di liberarsi di un’incombenza insopportabile, malgradita: quella di pensare.

Ecco la cifra del vero fascismo di oggi. O almeno del rischio del fascismo di oggi. Niente a che vedere con i punti cardinali o con destri e sinistri sparsi di qua e di là. E del resto, oggi, essere un vero comunista o un vero fascista appare assai arduo. Anzi, è già difficile capire da che parte del letto sei scivolato. A sinistra, dove a incarnare il vero rifiuto alla maggioranza è un uomo più “destrorso” della stessa destra al governo. A sinistra, luogo storico dei lavoratori, che ha perso gli operai, consegnandoli alla Lega, e medita se candidare a leader qualche grosso industriale. Nel frattempo, la destra “si unge” da sola, ma poi costella i propri moderati e cattolici partiti di divorziati, puttanieri, utilizzatori finali e utilizzate iniziali. E persino la Chiesa se ne accorge.

Povera Chiesa. Che non sa più da che parte stare. In Sicilia, forse, starebbe all’opposizione. Perché i comunisti del Pd hanno deciso di stare con i democratici “catanesi” di Lombardo. “Per porre fine al dominio dei cattivi berlusconiani e cuffariani”. Già. Triste surrogato, quello contro l’ex governatore, dell’antiberlusconismo. E a fotografare questa “assenza di pensiero”, questa deriva latente e diffusa, trasparente, visto che i colori oggi non servono, è proprio il governo tecnico di don Raffaele. “Voglio vedere chi attacca questi qua, che non hanno tessera di partito”. Proprio così. Perché ormai appartenere a un partito è una colpa, nel palloncino della politica di oggi.

Qualcuno parla di “ritorno degli anni di piombo”. E non si è accorto che siamo invece in pieno negli “anni dell’elio”. Vallo a spiegare, allora, a quei giovani dell’Umberto I. Che contestano o vengono contestati. Che contestano cosa? E vengono contestati perché? Vittime e artefici. Tutte camicie nere. Anche chi tiene stretta in mano la bandiera rossa. Come noi, del resto, che facciamo giornalismo. Tutti, non sappiamo far altro, in mancanza di un
pensiero nuovo, di un’idea in grado di mutare davvero qualcosa, che desse sostanza all’aria, forma all’acqua, che usare quelle logore. Quelle color seppia della destra e della sinistra. Dei fascisti e dei comunisti. Delle guardie e dei ladri. Ladri. Che sono una volta i contestatori del papa (e fans di Milingo), un’altra i frequentatori di un centro sociale, un’altra ancora un gruppo di ragazzini che hanno preso in prestito slogan antichi perché non sanno crearne di nuovi. E le guardie? Talvolta, forse, anche loro pensano che pensare sia un errore. E si rifugiano (come noi, come tutti) nell’unica idea possibile. Quella che esiste un “noi” e un “loro”. Attorno, il vuoto. Lo dicevano già trent’anni fa: questo è (un) fascismo. E, a pensarci bene, la destra e la sinistra, stavolta, non c’entrano.

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12 Ottobre 2010, 16:27

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