14 Novembre 2021, 05:30
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Il viaggio in treno tra un capo e l’altro della Sicilia inizia a durare così tanto che Agatha Christie potrebbe ambientarci un nuovo romanzo giallo. L’arrivo dei nuovi Frecciabianca è stato presentato con giubilo, ma per andare da Palermo a Messina ci vorranno quasi quattro ore e 15 minuti. Il professore di Pianificazione e progettazione dei sistemi di trasporto dell’Università di Catania Matteo Ignaccolo ci spiega il motivo. Nell’intervista, un’analisi dura del futuro della Sicilia partendo dalle infrastrutture per il trasporto e il potenziale fallimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza nel Mezzogiorno.
Grandi enfasi e polemiche per l’entrata in servizio in Sicilia dei treni Frecciabianca. Qual è la verità sulla loro utilità?
E’ un qualcosa che prima non c’era e adesso c’è, ma è risibile perché i Frecciabianca sono treni di non nuova generazione. Non stiamo parlando di un guadagno di tempo nel trasporto regionale e di un migliore esercizio dell’intero sistema. Assolutamente no. Nella tratta Palermo Catania non si guadagna praticamente nulla sul tempo di percorrenza. Non si guadagna nulla, quindi, se non nel comfort visto che il Frecciabianca per quanto datato è migliore del materiale rotabile in servizio.
Per andare da Palermo a Messina si impiegheranno più di quattro ore. Perché?
Il cosiddetto Corridoio 1 ( dalla Finlandia a Malta) nella parte siciliana percorre le tratte Messina – Catania – Palermo e l’Unione Europea, giustamente, vuole che tre i poli fondamentali della Sicilia siano collegati. Sicuramente c’è una minore attenzione della UE e della stessa organizzazione della rete ferroviaria italiana al tratto diretto Me-Pa perché è un tratto molto molto oneroso da lavorare. E’ chiaro quindi che per andare da Palermo a Messina si debba passare da Catania, ma questo dovrebbe avvenire con velocità notevoli o almeno decenti. L’obiettivo dovrebbe essere quello di percorrere il segmento Palermo-Catania in un’ora circa e quello Catania-Messina in 30 minuti e poco più. A quel punto avremmo un asse portante ferroviario della Sicilia che sarebbe un vero salto di qualità dell’Isola. Una questione che vorrei spiegare e sottolineare con forza.
Lo merita.
Un asse ferroviario degno di questo nome consentirebbe la rinascita del centro Sicilia. Perché lì nascerebbe una stazione sulla quale fare convergere la domanda di mobilità anche del trasporto su gomma. Le comunità che vivono in provincia di Enna, Caltanissetta, parte di quelle di Agrigento e Palermo avrebbero modo di arrivare a Catania o Palermo in mezz’ora. Allora la gente potrà decidere di vivere al centro della Sicilia e andare a lavorare nelle città più grandi. Oggi, invece, il centro della Sicilia è sempre più svuotato. Credo che meno del 15% dei siciliani viva in comuni che non siano sulla costa.
C’è qualcosa nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che punti a questo tipo di sviluppo infrastrutturale?
No, non si vede nulla di questo perché nel Pnrr sono stati recepiti i progetti già esistenti e finanziati prima della pandemia e alcuni addirittura con lavori già iniziati. I lavori che si stanno facendo ci porteranno, tra una decina d’anni, ad avere nella tratta Pa-Ct una percorrenza di oltre due ore e di un’ora e più nella tratta Ct Me. Se per andare a Roma partendo da Palermo impiega più di 3 ore e mezza soltanto per arrivare a Messina è chiaro che si sceglierà l’aereo. Il Ponte e le infrastrutture sono due aspetti che vanno di pari passo. Se si vogliono abbattere i tempi si dovrebbero potenziare le infrastrutture regionali e realizzare anche il Ponte sullo Stretto. Viceversa il Ponte sullo Stretto senza infrastrutture adeguate sarebbe inutile.
Mobilità e trasporti in Sicilia significano anche mare e porti.
Ci si aspettava input sui due porti del Mezzogiorno di Augusta e Gioia Tauro. La prima cosa attesa per lo sviluppo di Augusta era un intervento pesante da fare sulla rada. Al momento, infatti, manca l’altezza dei fondali necessaria a far approdare le navi più grandi. Ad Augusta purtroppo ogni tipo di scoria industriale si è stratificata negli anni sui fondali, rendendo la bonifica complessa e costosa. Il Pnrr avrebbe potuto dare uno sprint al porto di Augusta e invece soldi su questo non ce ne sono. Si spinge sui sistemi portuali di Liguria e alto Adriatico, utili per supportare lo sviluppo indutriale di quell’area. Teniamo presente che anche al nord Italia siamo indietro. Molte materie prime che via nave arrivano dalla Cina, infatti, entrano nel Mediterraneo da Suez, ne escono da Gibilterra e toccano terra a Rotterdam. Da lì grazie a corridoi ferroviari eccezionali entrano, infine, in Lombardia e Veneto.
Che cosa suggerisce di fare dunque?
Ci vogliono investimenti nella logistica per migliorare la possibilità di movimentare le merci. I porti sono il nodo finale di un sistema che per essere efficiente deve avere una buona rete ferroviaria. Nel Pnrr, per esempio, per il porto di Palermo è prevista l’elettrificazione delle banchine che servirà a far spegnere i motori delle navi per mantere attivi i sistemi e i servizi di bordo. Le navi sono città galleggianti e servono centrali di conversione che possono avere un forte impatto perché hanno grossi volumi di ingombro. E’ una misura in più per la salvaguardia dell’ambiente.
Per i porti siciliani, insomma, ci si aspettava di più dal Pnrr?
Il Pnrr sancirà una volta per tutte un gap inarrivabile tra Nord e Sud del Paese. E’ la condanna definitiva del Mezzogiorno. Da Napoli e Bari in giù farà una terra abbandonata. E’ previsto che il 40% dei fondi debba essere speso al Sud, ma l’Italia ha avuto concessi questi 220 miliardi proprio per le condizioni sfavorevoli del Sud. Ci saremmo allora aspettati molti più fondi, per quel salto di qualità che invece sembra non stia accadendo. Il divario crescerà.
Il mondo accademico ha avanzato suggerimenti, offerto un contributo?
Con colleghi della Sicilia abbiamo preparato report, inviato dossier a tutti i parlamentari siciliani, siamo stati sentiti in commissioni dell’Assemblea regionale. Non credo però che la classe politica, di ogni schieramento, sia in grado di contrapporsi e far sue queste cose. C’è un’opposizione nazionale che ha cercato di cavalcare di più questi temi perché trova su un piatto d’argento una critica fondata all’operato del governo. Manca, alla fine, un piano strategico per la Sicilia.
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