05 Ottobre 2011, 09:55
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È meglio la cassata siciliana o un buon cocktail? Detto così, nessuno di voi – spero – può avere dubbi. Come si fa a chiedere su una rivista così siciliana come I Love Sicilia se si preferisce un dolce siciliano classico e tradizionale ad un freddo, seppur rinfrescante, cocktail? Può esserci dubbio alcuno su cosa cadrà la vostra preferenza? Meglio la cassata siciliana, direte certamente voi. Ed è proprio così. Perché? Perché la cassata siciliana è una soave miscela di sapori, una sinfonia di profumi e di colori unica. Il bianco vellutato della glassa di zucchero che avvolge con compattezza e delicatezza, al tempo stesso, quell’impasto di dolcezza. Il verde intenso della pasta reale che traspare dalla glassa e ti emoziona stimolando fantasie peccaminose, quasi fossero nudità femminili appena accennate dietro un velo trasparente che nel contempo ti priva e si offre. La sorpresa del soffice amalgama interno, dove la morbidezza del pan di spagna si fonde con la candida cremosità della ricotta, tutto compone una sinfonia incredibile che raggiunge il suo fasto, la sua apoteosi nei colori della frutta candita, nell’eccesso di dolcezza che ti regala la zuccata. Un’armonia sublime di sapori morbidi, un concentrato di dolcezza che mai ti stanca.
Un’esperienza dei sensi che ti ricorda che mangiare è un vizio. Un vizio che ti sazia, ti riempie, ti ottunde i sensi. Un’estasi. Un eccesso vitale che si congiunge al senso di morte che il mangiare richiama. Eros e Thanatos, si dice. Amore e Morte. Ma anche Cibo e Morte. Perché se non mangi muori di fame, ma si può anche morire di cibo, come i protagonisti dell’indimenticabile capolavoro del cinema che fu ed è “La grande abbuffata” di Marco Ferreri. E, del resto, mangiare è anch’esso un atto erotico, è voluttà, concedersi ai sensi, lasciarsi andare, rinunciando al contenimento delle diete, alla morigeratezza degli usi e costumi alimentari. Un cucchiaio dopo l’altro, un boccone dopo l’altro, procedi verso l’assoluto piacere del palato.
Questa è la nostra tradizione, tutta interna ad un rapporto fisico ed eccessivo con la vita. Niente di astratto ed etereo. Tutto molto materiale, terrestre, pieno, meridionale, mediterraneo. Dall’altra parte, nel Nord Italia, al pallido sole dell’Europa, crescevano altre tradizioni. Fra panettoni asciutti e grigi strudel, il dessert non è un trionfo, né della vita, né della morte. È solo la degna conclusione di un pasto dignitoso ed equilibrato, in linea col dettame medico, secondo cui “è meglio alzarsi da tavola con un po’ di fame”. Il pasto non è un rito, ma una necessità vitale. Non c’è rapporto fra uomo e cibo, anzi è solo un’occasione sociale, relazionale. Il pranzo meridionale, robusto ed imponente, che ti schianta e ti impone magari la siesta pomeridiana, a Milano è sconosciuto. Al Nord fai una “colazione di lavoro” se ti serve per la tua carriera, altrimenti basta un “fast food”, giusto per impegnare la pausa pranzo e rituffarti nella tua frenetica attività quotidiana. Figuriamoci se hai tempo e voglia di dolci saporosi!
Negli anni, poi, nella Milano da bere si è diffuso il rito sociale, molto diffuso fra i giovani, dell'”Happy Hour”. Si riuniscono nei bar, dalle sei del pomeriggio fino a sera, a bere un aperitivo con qualche stuzzichino. Una moda, una delle tante, che però si è radicata e si è diffusa, e che, come la linea della palma al contrario, è scesa sempre più al Sud conquistando nuovi territori, nuovi adepti.
Negli ultimi anni, è approdata anche in Sicilia. Sempre più persone, giovani e meno giovani, praticano l’Happy Hour. È un bene? Non lo so, ma è un fatto che si somma alla sempre maggiore indifferenza, soprattutto delle più giovani generazioni, verso la tradizione dolciaria siciliana. Insomma, mi pare di cogliere una nuova linea di tendenza, sempre più favorevole alla freschezza di un cocktail piuttosto che all’impegno di una cremosa fetta di cassata siciliana. Che significa? Tante cose. Significa che diventiamo più europei, più moderni, più leggeri, più alcolici, più eterei e più astratti. Forse più simili agli altri, agli italiani e agli europei. Ho questa sensazione. Guadagniamo qualcosa di nuovo e di più. Però,se la guardiamo con un altro occhio, perdiamo qualcosa, anzi di più. Rischiamo di perdere un pezzo di tradizione, e con esso un po’ di piacere e di identità, molte cose che si accompagnano alla nostra splendida sicilianità, al gusto della nostra orgogliosa insularità. È anche per questo che a me piacciono i cocktail, ma continuo a preferire la cassata siciliana. È anche per questo che sono ostile all’idea del ponte sullo Stretto… E voi, cari lettori, che ne pensate?
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05 Ottobre 2011, 09:55