05 Aprile 2015, 10:12
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E’ diventato un tormentone: la Sicilia rischia di essere commissariata da Renzi, anzi, siamo a un passo dal commissariamento. Le ragioni a sostegno sono di carattere finanziario. Un’affermazione continuamente rilanciata da politici, osservatori, semplici cittadini. Io, l’ho scritto ripetutamente, sarei tra coloro che saluterebbero con soddisfazione la conclusione di un governo regionale, per la verità la sua terza edizione con innumerevoli cambi di assessori e di vertici burocratici, che certamente non è il responsabile unico dei nostri mali ma rivelatosi assolutamente inadeguato a risolverli o, almeno, ad avviarli a soluzione. Nessuno, però, sembra porsi pubblicamente la domanda: il commissariamento della Sicilia da parte dell’autorità centrale dello Stato è concretamente immaginabile, seppure in presenza di una spaventosa crisi finanziaria?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, augurandoci di provocare un proficuo dibattito, magari con l’ausilio di giuristi insigni esperti della materia, e di andare oltre gli slogan. Premetto che non stiamo parlando del commissariamento di singole funzioni, cosa che sta già avvenendo, ma dell’interruzione traumatica della legislatura (con scadenza naturale a ottobre del 2017). Ai sensi dello Statuto della Regione Siciliana abbiamo cinque norme che vanno in direzione della fine anticipata della legislatura tutte generalmente sorrette dal principio “simul stabunt aut simul cadent” (insieme staranno o insieme cadranno) secondo il quale se decade il Presidente della Regione decade anche l’Assemblea regionale e viceversa.
Analizziamole sinteticamente. L’art. 8 prevede, su proposta del Commissario dello Stato avanzata al Governo di Roma, e con deliberazione del Parlamento nazionale, lo scioglimento dell’Assemblea regionale “per persistente violazione” dello Statuto. Non c’è un riferimento esplicito anche al Presidente della regione e alla Giunta regionale, ponendo un’eccezione al principio “simul stabunt aut simul cadent” e dubbi interpretativi di complessa soluzione. La figura del Commissario dello Stato è stata, com’è noto, recentemente soppressa e, pertanto, l’azione di impulso parrebbe appartenere direttamente al Consiglio dei Ministri. Nel medesimo articolo 8, ultimo comma, è sancita la possibilità di rimuovere il Presidente della Regione, seppure eletto a suffragio universale, “che abbia compiuto atti contrari alla Costituzione o reiterate e gravi violazioni di legge. La rimozione può altresì essere disposta per ragioni di sicurezza nazionale”. Esclusivamente in questi casi dell’art. 8 St. avremmo il commissariamento della Regione, per l’ordinaria amministrazione e per tre mesi fino a nuove elezioni, e con una complicata procedura che prevede l’intervento del Consiglio dei Ministri, del Parlamento nazionale e financo del Capo dello Stato.
Altra norma che determina la cessazione anticipata della legislatura è l’ultimo comma dell’art. 10 dello Statuto che disciplina l’eventualità di dimissioni, di rimozione, di impedimento permanente o di morte del Presidente della Regione. In tali frangenti, ovviamente, si procede a nuova e contestuale elezione dell’Assemblea regionale e del Presidente della Regione. Si converrà che tutte e tre le disposizioni richiamate contemplano ipotesi ad oggi soggettivamente e oggettivamente insussistenti o non agevolmente configurabili per la loro straordinaria gravità. Richiamare, come qualcuno ha fatto nell’attuale fase di pesantissima crisi finanziaria della Regione, che impone interventi del governo nazionale per potere approvare il bilancio, la violazione dell’art. 81 della Costituzione che obbliga al pareggio di bilancio, per configurare “un atto contrario alla Costituzione” imputabile tout court al Presidente della regione, mi pare un azzardo giuridico di notevole entità e di difficile percorribilità. Per completezza, annotiamo l’art. 120 della Costituzione: “Il governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli assistenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
Pure qui, difficile imputare direttamente al Presidente della regione una delle cause previste da tale articolo per attivare il potere sostitutivo del Governo nazionale, e occorrono delle norme di attuazione. Soffermiamoci, adesso, sugli ultimi due casi, politicamente importanti perché implicano un’attività del Parlamento siciliano. L’art. 8 bis dello Statuto recita: “Le contemporanee dimissioni della metà più uno dei deputati determinano la conclusione anticipata della legislatura dell’Assemblea, secondo modalità determinate con legge adottata dall’Assemblea regionale, approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti”. Articolo molto affascinante, peccato che per essere applicato occorra una legge regionale che non mi risulta sia stata ancora varata. Comunque sia, non ce li vedo 46 deputati regionali che corrono in massa a dimettersi. In ultimo, eccoci giunti a un’altra fondamentale norma, l’unica in astratto praticabile, contenuta nell’articolo 10, primo comma, sempre dello Statuto.”L’Assemblea regionale può approvare a maggioranza assoluta dei suoi componenti una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione presentata da almeno un quinto dei suoi componenti e messa in discussione dopo almeno tre giorni dalla sua presentazione. Ove la mozione venga approvata, si procede, entro i successivi tre mesi, alla nuova e contestuale elezione dell’Assemblea e del Presidente della Regione”.
In buona sostanza, l’Assemblea regionale dovrebbe approvare una mozione di sfiducia nei confronti di Crocetta che automaticamente determinerebbe la caduta sia del Presidente della Regione sia della stessa Assemblea (ricordiamo il principio “simul stabunt aut simul cadent”). Come sappiamo tale norma non è stata utilizzata nella fase antecedente al Crocetta ter. Allora fu presentata una regolare mozione di sfiducia, bocciata. In conclusione, se rimarremo immersi nella palude in cui ci ritroviamo sarà unicamente per colpa della classe politica siciliana che pur avendone lo strumento, l’art. 10. 1°comma dello Statuto (mozione di sfiducia), per dire basta e aprire una nuova pagina non lo adopererà, per rimanere saldamente incollata alla poltrona che garantisce privilegi e lauti compensi.
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05 Aprile 2015, 10:12