Sicilia e-Servizi, i licenziati all’Ars | “Siamo vittime di un’ingiustizia”

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24 Giugno 2014, 06:30

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PALERMO – Sulla via che ha portato alla risurrezione di Sicilia e-Servizi sono rimaste 16 vittime. Licenziate. Al contrario degli altri 60 colleghi ripescati dall’ex commissario, oggi presidente, Antonio Ingroia. Nonostante un “avviso di garanzia” notificato dalla procura della Corte dei conti sia all’ex pm che al governatore Crocetta. I magistrati contabili, due mesi fa, hanno sollevato più di un dubbio su quella procedura. Contestando un danno erariale da oltre due milioni per quelle assunzioni.

Ma insieme agli assunti, come detto. Ecco i licenziati. Per motivi diversi. Esigenze di spending review. Qualche caso di insufficenza dei “requisiti morali”. E soprattutto un periodo di prova alla fine del quale una commissione li ha considerati, sostanzialmente, “inutili”. Nonostante fossero lì, a lavoro, da dieci anni. Laureati e con contratti, nel migliore dei casi, da 1.300 euro al mese. Gocce nel mare dei milioni di sperperi e sprechi di quella che doveva essere la società del futuro.

Adesso, la vicenda dei 16 ex dipendenti di Sicilia e-Servizi Venture messi alla porta da Antonio Ingroia approda all’Ars. Domani alle 16 infatti è prevista un’audizione in Commissione bilancio del segretario provinciale della UIL metalmeccanici proprio “in merito alle problematiche tecniche e finanziarie conseguenti all’avvenuto transito dei lavoratori dalla società Sicilia e-servizi Venture”.

Un transito non privo di polemiche. La decisione del commissario Ingroia di “aprire” alle riassunzioni di 76 lavoratori messi alla porta dai soci privati di Sicilia e-Servizi, infatti, era dovuta – nelle intenzioni dell’ex pm – alla necessità di garantire comunque un servizio essenziale per la Regione. Quei lavoratori, infatti, gestiscono, tra le altre cose, banche dati delicatissime. Come quelle riguardanti, ad esempio, il 118. O le prenotazioni sanitarie dei siciliani. Così, come detto, ecco la scelta di aprire alla riassunzione dei 76, passando però, preventivamente, da un periodo di prova di quattro mesi. Utile a verificare la necessità di questo o quel lavoratore. Alla fine dei quattro mesi, però, ecco che 16 dipendenti non vengono effettivamente riassunti. Messi alla porta. Tra questi, la figlia del boss Bontate e Francesco Nucci arrestato nel 2012, insieme al padre, nella mega inchiesta sull’Eolico che portò in carcere anche l’imprenditore Vito Nicastri. “Qualcuno di quei dipendenti – spiegò in quell’occasione Ingroia – non era in possesso dei requisiti di probità e affidabilità”.

“E’ vero – commenta sarcasticamente uno di quei lavoratori, Giuseppe Diliberto – ammetto che nella mia famiglia c’è un assassino. Mio nonno. Che ha combattuto a Caporetto”. Ma l’ironia dura un attimo. Il resto è invece un racconto amaro. “Io – spiega ad esempio un altro dei lavoratori licenziati, Giovanni Consiglio – mi sono laureato in ingegneria con 110. E insegnavo già a scuola. Quando nacque Sicilia e-Servizi fu pubblicato un bando. Le prospettive erano buone, e decisi di lasciare il lavoro di insegnante e provare questa avventura. Dopo otto anni di lavoro, è bastata una chiacchierata con gente che non conosce nemmeno il nostro lavoro, per vedermi licenziato in tronco”.

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La “gente” in questione è quella che ha formato la commissione di valutazione. Quella che, alla fine dei quattro mesi “di prova” ha deciso quali lavoratori dovessero continuare la propria esperienza nella società per i successivi 18 mesi e quali invece sarebbero stati “tagliati”. Una commissione nominata dallo stesso Ingroia e formata da un professore universitario titolare di una cattedra in ingegneria informatica e da due ufficiali in pensione: uno della Guardia di Finanza e un altro della Dia. “Dopo aver lavorato per tanti anni, insomma, – insiste Consiglio – scoprono che ho perso le competenze”. Il famigerato “know how” che, stando alla convenzione alla base della nascita di Sicilia e-servizi doveva essere, alla fine del periodo transitorio e misto (pubblico/privato), trasferito alla Regione. Insieme, ovviamente, ai lavoratori “formati”.

E invece, per loro l’avventura sembra finire qui. Condita, persino, da qualche accusa di natura “morale”. “Siamo stati marchiati – commenta Diliberto – come persone ‘improbe’. Questo è inaccettabile. Si è trattata solo di una manovra propagandistica per sparare qualche cognome ‘discusso’ di qualche collega. Parlano persino di spending review. La vogliono fare con gli stipendi da 1.300 dei lavoratori, ma nel frattempo chiamano in società l’addetto stampa del partito di Ingroia e qualche altro suo collaboratore”.

Fatto sta che loro, i sedici, sono a casa. “Hanno distrutto – dicono – non solo il nostro presente. Ma anche il nostro futuro. Tra di noi c’è gente che doveva sposarsi e ha dovuto ripensarci all’ultimo minuto. Chi ha acceso un mutuo e adesso non sa più come fare”. La considerano un’ingiustizia. Loro fuori, gli altri sessanta dentro. “Per carità – precisano – nulla contro i nostri colleghi. Anzi. Loro avrebbero voluto persino, nei giorni scorsi, manifestare pubblicamente la solidarietà nei nostri confronti. Ma a qualcuno sarebbe stato detto che, in quel caso, avrebbe rischiato il licenziamento”.

E la rabbia dei licenziati cresce di giorno in giorno, anche seguendo le vicende di altri lavoratori in qualche modo legati alla Regione. “Massimo rispetto per tutti – dice Silvio Santangelo, anche lui tra i 16 licenziati – ma non possiamo non notare che qualche lavoratore riesce ad ottenere quanto gli spetta magari rovesciando e incendiando i cassonetti della città. Non non siamo capaci di questo. E infatti nessuno ci ascolta. Anzi – aggiungono – a noi non spetta nulla. Non prendiamo nemmeno indennizzi di disoccupazione o di mobilità. Da un giorno all’altro siamo finiti in mezzo a una strada”. Nonostante nei giorni precedenti fossero arrivate persino le rassicurazioni del governatore. “Crocetta ci aveva promesso: nessuno di voi sarà licenziato. Pochi giorni dopo siamo stati cacciati. Senza nemmeno una telefonata. Abbiamo trovato la notizia del licenziamento nella nostra casella di posta. Dopo anni di lavoro, – concludono – siamo stati cacciati con una semplice email”.

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24 Giugno 2014, 06:30

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