08 Dicembre 2013, 06:00

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In tema di sanità, tutte le attenzioni sembrano oggi spasmodicamente dedicate alla futura nomina dei direttori generali nelle 17 aziende che operano in Sicilia. Dovranno essere i più onesti, competenti, efficienti tra coloro che aspirano all’incarico. Con il massimo di attenzione verso i pazienti ma anche e soprattutto con l’abilità necessaria a gestire appalti, autorizzazioni, assegnazioni di primariati e mansioni al personale. Oltre che a mantenere bilanci in attivo grazie anche alla collaborazione di un direttore amministrativo e di un direttore sanitario di fiducia loro (e di altri). Non solo, ma saranno sotto la lente dell’eventuale politico di riferimento, che ne ha sponsorizzato la nomina, senza trascurare le altre aree, ideologiche o meno, tutte concentrate allo spasimo, sulle “economie della salute” attraverso l’influenza sui suddetti direttori generali. Una botta di “minchia” a questo punto è d’obbligo!

Ora, il settore della sanità in Sicilia ha come peculiarità una sua criminogeneità testimoniata nel tempo da processi, indagini, “scandali”. Ed ovviamente contrastata a livello istituzionale e giudiziario.

In Sicilia siamo abituati, misurando il grado di reazione che intercorre tra denunzia di illegalità in un determinato settore e l’intervento della magistratura, a valutare due caratteristiche del settore in questione: l’effettiva veridicità e credibilità della denunzia e la priorità che il sistema assegna al loro accertamento. Se la prima caratteristica è positiva ne dovrebbe conseguire un’accentuazione della seconda, tenendo conto dell’obbligatorietà dell’azione penale. Teniamolo presente nel prosieguo del ragionamento.

Vale la pena annotare subito che la corruzione nella sanità è fenomeno diffuso nell’intero Paese, attirata dalla spesa complessiva che ammonta a 111,3 miliardi di euro l’anno. Sprechi, tangenti, peculati, cattiva amministrazione incidono dal 3,6 al 10% della spesa sanitaria.

Ciò rende opportuna una premessa, prima di continuare. Siamo costretti a procedere per generalizzazioni trascurando casi pregnanti di impegno, di esercizio di strumenti per la moralizzazione, di eccellenze; ma, dopo aver ribadito l’attenzione a rifuggire dal “tutti ladri”, passiamo in rassegna i dossier aperti di corruzione sulla sanità appena dopo l’avvento del governo Crocetta.

Si iniziò con sdegno irato per la “moltiplicazione dei pannoloni”, ormai nel dimenticatoio. Poi sono venute fuori le accuse relative alla presenza di “mascalzoni della salute” (on. G. Di Giacomo, Presidente della Commissione Sanità dell’ARS), che, anche sulla base di forti pressioni della mafia, organizzano truffe, “con la responsabilità di primari e la distratta omissione di commissari e direttori generali”, nella gestione dei servizi. Addirittura si è arrivati a stabilire una sorta di top ten dell’imbroglio: “il cosiddetto sistema Ciapi è una roba da bambini rispetto alla speculazione affaristico criminale sulla salute dei cittadini siciliani”. Qualche particolare tratto sempre dalle dichiarazioni dell’on. Di Giacomo. Vengono truccati i centri unici di prenotazione con dei nomi “civetta”. Serie difficoltà sulla gestione del 118 e sul trasporto degli emodializzati. Esistenza di una giungla di prezzi nella fornitura di reagenti chimici. Costi della pulizia nelle corsie fuori controllo.

La Regione scatena inchieste, avvicendamenti, denunzie? E’ possibile ma non noto. Nella stampa ufficiale c’è traccia solo del blocco di un appalto di 21,5 milioni per gestire i rifiuti sanitari di tutta la Sicilia Orientale su segnalazione di Confambiente, un’associazione portatrice di forti interessi economici sullo smaltimento della cosiddetta “munnizza” degli ospedali.

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Arrivano i nostri con la divisa della Guardia di Finanza: indagine sulla spesa farmaceutica in Sicilia per l’acquisto di alcuni prodotti, in particolare per l’osteoporosi. L’occhiello “gridato” sotto il titolo di annunzio: “Giro esorbitante di farmaci rispetto ai normali consumi. Si ipotizzano pressioni delle lobbies”.

Anche il Governatore Crocetta si attiva ed ammonisce i “manager” invitandoli a contrastare il malaffare e a denunciare tutto ciò che non è legale. Sembra il jingle che accompagna lo spot pubblicitario natalizio di una nota casa di dolciumi: “fate i buoni”. Papocchio Humanitas: un buon caso per dimostrare che le bugie fanno soffrire alcuni ma portano tranquillità ad altri.

Ed infine il verdetto impietoso della Corte dei Conti che ha passato al setaccio le modalità di acquisto delle 17 aziende sanitarie e ospedaliere nel triennio 2010-2012. I numeri parlano: su 6.380 procedure di acquisto portate a termine solo il 6,1% si è concluso tramite una gara aperta a tutte le imprese e l’8,7% nel rispetto dei costi standard. Il resto è stato realizzato con il metodo della “procedura negoziata” coinvolgendo attraverso una spesa di un miliardo di euro (la sanità assorbe otto miliardi di euro l’anno in Sicilia) tre o quattro ditte iscritte all’albo di fornitori e scegliendo l’offerta più conveniente.

La Corte dei Conti parla di una sostanziale assenza di controlli da parte dei collegi sindacali, e del ricorso spregiudicato a modalità di acquisto fuori dalle regole.

Risposta da parte delle istituzioni: la fatwa sulla pratica dell’elettrochoc in Sicilia rivelatasi una vicenda degna di “Scherzi a parte”.

Torniamo alla domanda iniziale: così come è avvenuto, con clamorosa pubblicità, in altri casi ed in continuità di modelli di azione precedenti, c’è la ferma intenzione, anche attraverso la nomina dei nuovi direttori generali, di eliminare le “rubatine” nella sanità?

O la priorità assoluta per prevenzione e repressione va riservata ad altre tipologie di “rubatine”? Se così fosse, qualcuno, in nome dell’antimafia, vorrà cortesemente spiegarcene le ragioni? Tenendo conto dello strettissimo rapporto, mantenuto accuratamente sommerso al contrario di altri legami incestuosi, tra politica e sanità in Sicilia?

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08 Dicembre 2013, 06:00

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