Sidoti e il fallimento del Palermo| “Il giudice non è stato corrotto”

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03 Aprile 2019, 11:47

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PALERMO – La Cassazione annulla, senza rinvio, sia l’ordinanza di custodia cautelare che quella del Riesame. Un doppio annullamento che mina alla radice la ricostruzione della Procura di Caltanissetta sul mancato fallimento del Palermo Calcio.

I supremi giudici hanno accolto il ricorso degli avvocati Monica Genovese e Matias Manco, difensori di Giuseppe Sidoti. Sidoti era il presidente del collegio fallimentare del Tribunale di Palermo che non accolse la richiesta di fallimento della società di viale del Fante.

In prima battuta il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta applicò al magistrato la sospensione di un anno dalla funzione. Poi il Riesame la ridusse di sei mesi, derubricando l’iniziale accusa di corruzione da propria a impropria. E cioè si sarebbe trattato di una corruzione per esercizio della funzione e non per compiere un atto contrario ai doveri di ufficio. Ora la Cassazione ha annullato anche questa riqualificazione che era già caduta anche per l’ex presidente rosanero Giovanni Giammarva (nel suo caso la Cassazione due settimane fa ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Caltanissetta, accogliendo la tesi dell’avvocato Fabrizio Biondo). Nei confronti di Giammarva era stata revocata con effetto immediato la sospensione dalla professione di commercialista.

A Sidoti non andava applicata alcuna misura interdittiva. Il no al fallimento del Palermo Calcio non è stato pilotato. Si trattò di una decisione legittima e non il frutto di un patto corruttivo. Così aveva già stabilito il Riesame. Secondo l’accusa, invece, il Tribunale aveva respinto l’istanza di fallimento perché Sidoti era stato corrotto con una serie di regalie: biglietti per le partite del Palermo, pass per parcheggiare la macchina e accedere alla sala Vip, incarichi per il fratello di una donna legata a Sidoti.

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Il cuore dell’indagine era la conversazione intercorsa fra Sidoti e l’avvocato del Palermo Francesco Paolo Di Trapani, dalla quale, secondo l’accusa, emergeva che il giudice aveva suggerito al legale cosa fare per evitare il fallimento. Anche in questo caso, scrisse il Riesame, Sidoti non ha compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio perché non è irrituale, anzi fa parte delle prerogative del giudice, fornire indicazioni per evitare il fallimento.

I legali di Sidoti non si sono accontentati e hanno fatto ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento totale del provvedimento cautelare, contestando l’inutilizzabilità dell’intercettazione da cui è poi scaturita l’inchiesta. Dalle parole dei protagonisti non emergeva alcuna ipotesi di reato. Si era trattato di una legittima interlocuzione. Il ricorso è stato accolto senza rinvio, e ora si attendono le motivazioni per capire se dietro la decisione ci sia la contestazione di un vizio procedurale.

Il giudice palermitano, che resta comunque indagato per corruzione, abuso d’ufficio e rivelazione di notizie riservate, potrebbe tornare in servizio.

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03 Aprile 2019, 11:47

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