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“Signori mafiosi, non si può invocare Dio calpestando la vita umana”

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19 Marzo 2023, 17:36

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PALERMO – Si avverte una certa inquietudine, un forte disagio interiore nel leggere i puntuali resoconti di Riccardo Lo Verso circa lo sviluppo delle indagini sulla lunghissima latitanza di Matteo Messina Denaro e sui relativi arresti di fiancheggiatori e complici. Fanno impressione, soprattutto, i “pizzini”, i messaggi audio e le lettere ritrovati dagli investigatori che svelano la natura e l’intensità dei rapporti con alcune donne, una delle quali si esprime così: “Il bello nella mia vita è stato quello di incontrarti, come se il destino decidesse di farsi perdonare facendomi un regalo in grande stile. Quel regalo sei tu” E ancora: “Penso che qualsiasi donna nell’averti accanto si senta speciale ma soprattutto tu riesci a far diventare il nulla gli altri uomini. Con te mi sento protetta, mi fai stare bene, mi fai sorridere con le tue battute e adoro la tua ironia e la tua immensa conoscenza e intelligenza”. 

Come si può, come si può distorcere la realtà delle cose fino a questo punto pur conoscendo l’identità e lo spessore criminale dell’uomo da te innalzato? Com’è possibile, spinti da un sentimento intenso che va oltre il ruolo di tramite, di connivente, dipingere un uomo accusato o già condannato per orribili azioni in questa maniera, stravolgendo fatti e sentenze? Ascoltando alcune intercettazioni sembra che lo stesso Messina Denaro si compiaccia nell’esibirsi in un’ingannevole torsione della realtà considerandosi una specie di vittima, lui e i siciliani (aberrante).

Riferendosi al conflitto in Ucraina, prendendo le parti di Putin, definisce la guerra uno schifo come se le stragi e le uccisioni di mafia, compresa la terribile fine del piccolo Giuseppe Di Matteo strangolato e sciolto nell’acido, non siano schifose tanto quanto la guerra. Mi sovviene, a proposito dello stravolgimento dei principi basilari della civiltà, del rispetto della persona e addirittura del rapporto con Dio un’intercettazione del dialogo, durante l’ora d’aria nel carcere di Opera a Milano, tra Totò Riina e il criminale Alberto Lorusso.

“Ringraziamo sempre il Signore – esclama Riina per rispondere agli auguri di buon compleanno del Lorusso -, io lo ringrazio due volte al giorno, tre volte al giorno….è lui che mi dà questa salute…” per poi discettare con estrema disinvoltura dell’auspicata uccisione del magistrato Nino Di Matteo. Ha usato un’espressione tipica del buon cristiano timoroso di Dio e votato alla preghiera quotidiana coltivando, al contempo, progetti criminosi. Sì, decisamente una oscena perversione, coltivata da Messina Denaro e da Riina, dei valori religiosi, della distinzione tra il Bene e il Male, della vita e della morte. Del resto le cronache giudiziarie riguardanti i capi di Cosa Nostra sono piene di sconcertanti e vittimistiche autoassoluzioni e autocelebrazioni, di professioni di fede da terziari francescani (altari e simboli religiosi nei covi o sul proprio corpo), una bestemmia.

Pretendere di mettere insieme la lupara e la legge naturale che impone di non uccidere, la lupara e il Crocifisso è la storia della mafia in Sicilia, colpevoli le ambiguità (e le collusioni) di rappresentati della Chiesa e di laici, corrotti e collusi, magari assidui frequentatori di parrocchie e santuari. Poi, però, arrivarono gli anatemi di Giovanni Paolo II gridati nella Valle dei Templi, le inequivocabili parole di condanna di Benedetto XVI e, infine, la scomunica per i mafiosi di Francesco. No, non è consentito far finta di niente, signori mafiosi, non è permesso invocare Dio o bearsi delle lodi di compiacenti gregari mentre si calpesta la vita umana.

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19 Marzo 2023, 17:36

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