04 Giugno 2019, 20:42
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Su una cosa il presidente Musumeci ha certamente ragione. La seduta di oggi all’Ars è stata surreale. A tratti persino comica. Eppure, era stata annunciata con fiato di trombe: sarebbe piombato, tra gli scranni di Sala d’Ercole, l’emendamento col quale il governo avrebbe messo tutto a posto, dopo il voto di pochi giorni fa che spostava al 2020 il voto per le ex Province, prolungandone fino a sette anni il commissariamento.
Surreale. Ha ragione Musumeci. Che è intervenuto in chiusura di seduta, affermando molte cose sacrosante e altre discutibili. E alla fine non ha nemmeno posto all’esame del voto l’emendamento annunciato con vigore pochi giorni fa. Primo paradosso, a guardar bene, di un pomeriggio in cui sembra – e anche qui il governatore aveva ragione – mancare un qualsiasi filo logico.
A cominciare dalla marcia indietro della capogruppo dell’Udc Eleonora Lo Curto che ha candidamente ammesso – e per carità, succede – di non aver compreso, di fatto, cosa fosse avvenuto davvero la scorsa settimana. E fin qui, passi pure. Peccato che poi la deputata moderata abbia provato a contrattaccare ricordando che la colpa del caos Province è da attribuire ai “partiti che hanno voluto questo sfacelo”. Cioè ai partiti che hanno governato in quegli anni. Dove sta il paradosso? In un elenco: Patrizia Valenti, Marcella Maria Concetta Castronovo, Ettore Leotta, Giovanni Pistorio. Sono cinque dei sei assessori alle Autonomie locali del governo Crocetta. Qualcuno ricorda da quali partiti furono indicati in giunta? Sì, proprio dall’Udc…
Amnesia momentanea e contagiosa. Visto che anche Edy Tamajo ha ricordato come il “danno” sia iniziato nel 2012-2013. Ma che fu mantenuto, mai riparato, aggravato negli anni successivi. Quelli in suo partito Sicilia Futura era saldamente in giunta e saldamente (sebbene attraverso i vari nomi utilizzati negli anni) nella maggioranza di Crocetta.
Ma del resto, oggi in Aula è saltato proprio tutto. Giusy Savarino ha lamentato l’uso, in occasione dei quella seduta, del voto segreto. Uno strumento che “non aiuta certamente la trasparenza” (e sarebbe un controsenso nel paradosso, in effetti, che un voto ‘segreto’ sia anche trasparente). Ma la “notizia” è che a chiederlo, quel voto segreto, sono stati proprio gli alleati di governo. Non certo l’opposizione che si è ritirata, in quell’occasione, nella metaforica posa dei “pop corn”.
Paradossi e nonsense. Che tornano anche nella dotta definizione che la deputata del Movimento cinque stelle Angela Foti dà della “supercazzola”: “Un neologismo (entrato nell’uso comune dal cinema) metasemantico, che indica un nonsense, una frase priva di senso logico composta da un insieme casuale di parole reali e inesistenti, esposta in modo ingannevolmente forbito e sicuro a interlocutori che, pur non capendo, alla fine la accettano come corretta. Il termine è utilizzato per indicare chi parla senza dire nulla”. Fonte wikipedia. E non è uno scherzo.
Intanto, tra un intervento e l’altro, è tutto uno “svolazzare” di “territori”. La parola più amata di Sala d’Ercole. Ecco i territori in attesa di Pellegrino, i territori della Caronia che segnalano i rischi di quell’emendamento approvato, i territori della Foti in cui era tutto pronto per le elezioni, i territori che “ci ridono in faccia” di Cafeo.
Nel frattempo, tutti ci hanno ripensato. E sembra quasi che quell’emendamento che aveva spostato al 2020 il voto, fosse rimasto lì in Aula da qualche legislatura precedente. “Di chi è? È tuo? È mio?”. Ci ripensa la Lo Curto, ci ripensa Tamajo (l’emendamento fu firmato dal suo compagno di gruppo D’Agostino), ci ripensa persino il battagliero Figuccia. “Non è successo niente, prendiamoci un caffè” è il tono del dibattito.
Surreale. Aveva ragione il presidente Musumeci. Intervenuto con decisione e forza, con un discorso convincente. Fino, almeno, alla contaminazione. Quando, cioè, anche le sue parole hanno finito per assumere un tono surreale. E non è il trito e ritrito discorso della “maggioranza che non c’è, e che semmai va chiamata coalizione”. E’ nel finale di una seduta in cui alla fine, il tanto atteso emendamento, non verrà nemmeno discusso. Ed è semmai nella sottovalutazione – apparente, si immagina, politicamente troppo esperto è il governatore – della spaccatura della sua maggioranza (si perdoni, coalizione), in occasione di quel voto: “Due sensibilità diverse” ha minimizzato Musumeci.
Come se in questo anno e mezzo le due, tre, dieci sensibilità della coalizione non abbiano affossato una serie assai lunga di riforme e proposte legislative. Fatti che al presidente della Regione però non sembrano suscitare un grande fastidio. Le cose importanti, spiega, le cose che interessano al suo governo, precisa, sono altre: sono ad esempio il “consolidamento del costone a Caltabellotta”, o il “milione a Salemi per il Monte delle Rose”. Come se – per restare in tema – si stesse amministrando una Provincia. Come se il governo regionale non fosse l’unico responsabile dell’indirizzo politico, cosa assai diversa dalla produzione di atti amministrativi che sono soltanto la base di partenza di ogni ente. Come se si pensasse di curare una Sicilia zoppa e malata, con un’aspirina ogni tanto. E questo sì, questo sarebbe surreale.
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04 Giugno 2019, 20:42