08 Novembre 2013, 20:11
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PALERMO – L’unica cosa certa è che i privati, ancora per un po’, rimarranno fuori dai siti culturali siciliani. Ma la faccenda che riguarda la gestione delle biglietterie e dei cosiddetti “servizi aggiuntivi” (dai bookshop ai bar, dalle guide ai pullman) si arricchisce di una nuova puntata. Adesso, a giudicare se la Regione ha fatto bene a “cacciare fuori” i privati, sulla scia dello scandalo Novamusa, dai musei siciliani, sarà addirittura la Corte costituzionale.
Come dicevamo, dopo lo scandalo “Novamusa” (il titolare, Gaetano Mercadante, è accusato di non aver girato alla Regione la quota spettante per il servizio di biglietteria), il governo ha deciso di stoppare tutti i bandi in corso nelle varie province siciliane. Bandi, appunto, che avrebbero portato all’affidamento ad altre ditte dei servizi di biglietteria e degli “aggiuntivi” nei siti delle Province di Palermo, Agrigento, Siracusa, Trapani e Messina.
Per stoppare il bando, il dirigente generale del dipartimento Beni culturali Sergio Gelardi si basa sull’assenza, negli avvisi, del richiamo a un articolo della legge regionale 15 del 2008. La legge sugli appalti. Che prevede, a quel comma, l’obbligo del cosiddetto “conto dedicato” dal momento del bando a quello del contratto con l’aggiudicatario. In pratica, un conto corrente unico, che l’azienda vincitrice avrebbe dovuto utilizzare per qualsiasi operazione legata all’appalto. Insomma, gare sospese. Sine die. Si ferma tutto. Mentre il governatore annuncia l’utilizzo, al posto dei lavoratori delle società private, di “Lsu”, di precari e di dipendenti delle varie società partecipate.
Ma le società non ci stanno Così, la Cooperativa Culture in proprio e nella qualità di mandataria del Raggruppamento temporaneo di imprese (che raggruppa una ventina di aziende del settore, tra le più importanti in Italia) decide di presentare ricorso. Passano i mesi. Fino alla sentenza di oggi. In cui il Tar, di fatto, rimanda tutto alla Corte costituzionale. Accogliendo, in parte, le questioni sollevate dai privati. Per intenderci, secondo le società ricorrenti, quell’articolo del 2008 è incostituzionale, perché di fatto invade la competenza legislativa statale. Una competenza esclusiva, nelle materie riguardanti ‘ordine pubblico e la sicurezza. Quell’articolo, infatti, prevedendo il conto unico, rappresenta, nelle intenzioni del governo, uno strumento di contrasto alle infiltrazioni della criminalità. Sconfinando, appunto, nella competenza statale.
Ma non solo. La norma, spiegano i giudici, è irragionevole in quano introduce un automatismo sproporzionato. Ovvero quello della immediata nullità del bando. Una “sproporzione” che se ne aggiunge ad un’altra: quella che prevede l’esclusione delle ditte in caso di semplice “rinvio a giudizio” per reati legati all’associazione a delinquere. Una norma che contraddice i principi costituzionali della certezza della pena. Insomma, se ne dovrà occupare la Corte costituzionale. Intanto, i privati restano fuori, almeno per un po’. Mentre nei musei e nei luoghi d’arte siciliani lavorano dipendenti regionali e di società partecipate. Il personale utile, quantomeno, a garantire il servizio di biglietteria. Tutto il resto, intanto, è fermo. Librerie, percorsi guidati, audio guide e prodotti multimediali di fruizione dei sito, caffetterie, bus elettrici per spostarsi all’interno della valle dei templi, cataloghi, mostre, eventi. Tutto fermo. In attesa della Corte costituzionale.
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08 Novembre 2013, 20:11