“Soggetti esterni alla mafia | per l’attentato a Di Matteo”

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14 Novembre 2014, 19:21

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PALERMO- Torna l’ombra dei mandanti esterni. Soggetti diversi da Cosa nostra che armerebbero i boss per colpire loro obiettivi. E stavolta a parlare di input estranei ai clan è un boss “blasonato”, Vito Galatolo, figlio di Enzo, capomafia dell’Acquasanta coinvolto nelle stragi del’92 e in omicidi eccellenti come quello del giudice istruttore Rocco Chinnici. Non è ancora un pentito. Ma alcuni giorni fa ha rivelato agli inquirenti il progetto di attentato al pm del pool che indaga sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, Nino Di Matteo, voluto, appunto, da personaggi esterni alla mafia. Galatolo non ha ancora riempito un verbale. Le sue sono aperture iniziali. E sua moglie e i suoi tre figli fino ad oggi sono rimasti nella casa di famiglia, nel quartiere Acquasanta, senza alcuna protezione. La fuga di notizie sulle rivelazioni del boss hanno costretto gli investigatori a scortare d’urgenza i familiari in attesa di trasferirli in una località protetta.

E anche gli accertamenti che avrebbero dovuto riscontrare le sue dichiarazioni hanno avuto un’accelerazione. Quarantuno anni, Vito Galatolo detto “u picciriddu”, tornato in carcere a giugno dopo una condanna per mafia e un anno e mezzo di soggiorno obbligato a Mestre, sarebbe preoccupato che l’attentato possa ancora essere realizzato. E avrebbe paura di doverne subire le conseguenze giudiziarie. Per questo avrebbe parlato. Indicando in soggetti estranei alle cosche i mandanti del piano di morte che si sarebbe dovuto eseguire a Palermo o a Roma con l’appoggio di complici non mafiosi. Galatolo avrebbe parlato anche dell’arrivo di un carico esplosivo: circostanza che, naturalmente, gli inquirenti stanno cercando di verificare. Le indicazioni del boss sono allarmanti soprattutto per i riferimenti ai mandanti esterni.

La “famiglia” mafiosa dell’Acquasanta da sempre è sospettata di rapporti con personaggi anche legati ai Servizi deviati. Nel territorio del clan venne fatto l’attentato alla villa dell’Addaura, poi fallito, al giudice Giovanni Falcone. Un episodio rimasto sempre oscuro che, secondo i magistrati, avrebbe visto dietro le quinte anche apparati dello Stato. Secondo indiscrezioni Galatolo avrebbe espresso il timore che da un gesto tanto eclatante come l’eliminazione di Di Matteo, ormai divenuto simbolo dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, possano derivare conseguenze devastanti per Cosa nostra, costretta anche in altre occasioni a prestare armi e uomini per piani altrui. Le rivelazioni del capomafia, che hanno determinato un innalzamento delle misure di protezione per il magistrato, a cui è stato assegnato un nuovo mezzo blindato usato nelle zone di guerra, non sono l’unico fronte aperto per il pool che indaga sul patto tra pezzi dello Stato e mafia. La Procura generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare per le toghe, ha chiesto informazioni dopo la denuncia che due imputati del processo- l’ex generale Mario Mori e l’ex colonnello Giuseppe De Donno – hanno presentato nei confronti dei pm. Nell’esposto si adombrano illeciti nella scelta di delegare le nuove indagini sul passato del generale al Sid non a organi di polizia giudiziaria, bensì a un ufficiale, il tenente colonnello Giraudo, esperto di inchieste sull’eversione nera e sulla strage di piazza Fontana. I due militari stigmatizzano che Giraudo non sia “inserito in organismi di polizia giudiziaria e non risulti rispondere a superiore gerarchico sulle attività svolte”.

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La Procura Generale si è mossa velocemente e ha chiesto lumi al pg Roberto Scarpinato che proprio le nuove carte sul passato di Mori nei Servizi ha portato al processo d’appello per favoreggiamento in cui l’ex comandante del Ros è imputato.

(Fonte ANSA)

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14 Novembre 2014, 19:21

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