Cronaca

Soldi e potere a Porta Nuova| Il ‘pannello’ e i morti ammazzati

di

15 Giugno 2020, 05:45

6 min di lettura

PALERMO – Soldi e potere. All’interno di Cosa Nostra si litiga e si muore sempre per questioni di soldi e di potere. Basta guardare la recente storia di Porta Nuova, il mandamento che ingloba la parte centrale della città di Palermo, compresi i mercati storici, per averne conferma.

I soldi dei Milano

Di soldi a Porta Nuova ne sono sempre circolati parecchi. Ne sanno qualcosa i Milano, cognome di peso nel mandamento. Le indagini della Dda e dei finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria, sfociate nel blitz di pochi giorni fa, ha svelato che nel grande affare delle agenzie di scommesse targate Cosa Nostra anche i Milano avevano investito i loro soldi. E Salvatore, Totuccio, ad un certo punto li ha voluti indietro. Ci furono momenti di tensione, ma alla fine i soldi furono restituiti seppure a rate.

Il pannello delle scommesse

Meglio evitare scossoni, come quelli che nel 2015 provocarono la morte di Giuseppe Di Giacomo, crivellato di colpi alla Zisa. Dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio, leader del mandamento di Porta Nuova, Giuseppe Di Giacomo aveva scalato le posizioni di potere, forte della parentela con il fratello ergastolano Giovanni. Nei mesi della sua ascesa, frenata con il piombo, erano sorti malumori. Ai Di Giacomo, ad esempio, non era piaciuto l’atteggiamento di Vittorio e Onofrio Lipari, padre e figlio. Perché? Perché i Lipari avrebbero voluto prendersi “il pannello”, e cioè gli incassi delle sale scommesse della vittima. Se Di Giacomo aveva scalato le posizioni di potere lo doveva anche ai soldi che incassava con le agenzie di scommesse e che servivano ad aiutare le famiglie dei detenuti. E così scattò la reazione. Giovanni Di Giacomo ordinò al fratello di riferire a Tommaso Lo Presti, che nel frattempo sarebbe tornato a comandare, di uccidere i Lipari: “… si preparano fanno l’appuntamento e mentre c’è il discorso fanno bum bum e s’ammogghia tutto”.

Le tragedie di Cosa Nostra

E qui si innesca anche la capacità degli uomini di Cosa Nostra di essere anche dei tragediatori. Inventano tragedie per sbarazzarsi dei nemici. Forse questo era l’intento di Giovanni Di Giacomo nei confronti di Nunzio Milano, fratello di Totuccio, che una volta tornato in libertà avrebbe potuto minare la leadership del fratello Giuseppe. E così l’11 gennaio 2013 l’ergastolano incontrò il fratello e gli raccontò di avere avuto un breve colloquio in carcere con “Vaviettu (soprannome di Milano)… qua mi ha visto… era tutto impacciato… sai quando uno ha il carbone bagnato… io lo guardavo fisso…”. Poi, la frase più importante: “Ora… lui… fra un mese dice forse dovrebbe uscire… prende e mi fa a me… digli a tuo fratello che si deve tirare indietro…”. Infine consigliava di cercare in D’Ambrogio un alleato per frenare Milano. Perché D’Ambrogio “sa quello che deve fare”. Tutto, però, si baserebbe su quel faccia a faccia carcerario. Un faccia faccia che potrebbe non essersi mai verificato. La direzione del carcere, infatti, spiegò che Milano e Di Giacomo erano detenuti in due edifici diversi. Due sezioni con due circuiti penitenziari diversi. Insomma, era impossibile che si fossero incontrati.

I pentiti

Il delitto di Di Giacomo non ha ancora un colpevole. Il collaboratore di giustizia Francesco Chiarello disse che il movente era da ricercare nel furibondo scontro che Di Giacomo ebbe con Tommaso Lo Presti, uscito dal carcere con il mandato di comandare, e ora di nuovo detenuto. Si tratta dello stesso Masino Lo Presti che, sulla base dei desiderata di Giovanni Di Giacomo, avrebbe dovuto ammazzare i Lipari per la storia del “pannello”. Ed invece, con il più incredibile del voltafaccia, si sarebbe sbarazzato di Giuseppe Di Giacomo perché, secondo il pentito, quest’ultimo si era macchiato di una colpa grave, non aiutando le famiglie dei detenuti. L’ordine per l’omicidio, così Chiarello disse di avere saputo da Marcello Di Giacomo – altro fratello della vittima – arrivò con il benestare dei Milano (“traditori” li avrebbe definiti Marcello Di Giacomo).

Un altro pentito, Vito Galatolo dell’Acquasanta, disse di avere saputo dal boss Vincenzo Graziano che l’omicidio Di Giacomo era avvenuto ”che forse… siccome era uscito Tommaso Lo Presti ‘u pacchiuni’, figlio di Totuccio, ed era uscito male intenzionato con tutti dice che si doveva prendere tutte cose nelle mani lui… ci dissi e che cos’è?… forse il Di Giacomo Giuseppe gli avrebbe dato o uno schiaffo a Lo Presti Tommaso, il pacchione, o lo avrebbe offeso con la bocca… ci dissi è per questo lo hanno ucciso a Giuseppe?’. ‘Sì, dice, ci sono stati discorsi interni, però il pacchione so… mi ha riferito questo fatto che è male intenzionato, perché si doveva prendere tutte cose nelle mani’”.

Articoli Correlati
L’omicidio di Giuseppe Dainotti

Il boss pretendeva rispetto

Il delitto Di Giacomo resta irrisolto e pure quello di Giuseppe Dainotti, assassinato alla Zisa nel 2017 da due killer. Uno guidava lo scooter modello Sh, mentre l’assassino impugnava la pistola. Dalle immagini di una telecamera si vede la ruota dello scooter bruciare l’asfalto di via d’Ossuna, in direzione del Papireto, per poi imboccare una delle prime traverse a sinistra. Nessun dubbio neppure sul modello della scarpa indossata dal killer. È una scarpa da tennis.

Dainotti è lo zio di Tommaso Lo Presti (era il fratello della madre di quest’ultimo) ma è anche zio, seppur non in linea diretta, dei fratelli Gregorio e Tommaso Di Giovanni, la cui madre è cognata della sorella del boss assassinato. L’omicidio Dainotti è uno degli omicidi della recente Cosa Nostra ancora irrisolti (le tracce che portano al killer).

Quando è uscito dal carcere Dainotti ha preteso subito rispetto e soldi. Quei soldi che stentavano ad arrivare ai suoi familiari nei lunghi anni di detenzione. Già nel 2010 si manifestarono delle tensioni. Dopo l’arresto di Gregorio Di Giovanni, reggente del mandamento di Porta Nuova, al fratello Tommaso toccò sobbarcarsi il peso delle esigenze dei detenuti. Nel luglio 2010 il telefono di Tommaso Di Giovanni squillò. All’altro capo della cornetta c’era la zia Francesca Paola Dainotti, sorella dell’uomo assassinato in via D’Ossuna, nonché madre di Tommaso Lo Presti: “… allora io oggi neanche posso fare la spesa …a zia” . “Più tardi vengo…”, rispondeva Di Giovanni.

Nell’ottobre successivo a protestare era un’altra nipote di Dainotti, Anna Lo Presti, sorella di Tommaso. Al marito, Salvatore Pispicia, diceva: “… portò 400 euro per la settimanata di queste quattrocento euro… cento euro gliel’ho dati a mia madre per fargli la spesa, duecento euro l’ho portati al dentista che non gli portava soldi da qualche tre mesi al dentista, quanto restano… mi sono rimasti gli spicci”.

L’omicidio di Francesco Nangano

Da Porta Nuova a Brancaccio

Soldi e potere, la storia si ripete anche lontano da Porta Nuova Nuova. Nel 2013 veniva assassinato in via Messina Marine Francesco Nangano, legato alla famiglia di Brancaccio, ma molto vicino ai mafiosi di Porta Nuova tanto che i Giovanni Di Giacomo chiedeva con insistenza al fratello “ma Nangano… Nangano, ma Nangano… Nangano”. E Giuseppe rispondeva con un categorico “… che?… a posto … a posto Giovà”. Cosa significava “a posto”. Cosa aveva necessità di sapere l’ergastolano e perché? Tre delitti – Nangano. Di Giacomo e Dainotti – tutti senza un colpevole e tutti dovuti a scontri per i soldi e per il potere.

Pubblicato il

15 Giugno 2020, 05:45

Condividi sui social