21 Dicembre 2020, 18:00
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Si scrive “perdita di risorse economiche” e si legge schiaffo ai “processi di democrazia partecipata”. E’ quanto accadrà ai comuni siciliani che entro il 2019 non hanno speso almeno il 2% del trasferimento di parte corrente ricevuto dalla Regione per realizzare progetti ideati dalla comunità di riferimento. Spulciando i dati, elaborati dall’ufficio studi CentoPassi per la Sicilia, relativi alle somme erogate nel 2018, da spendere entro l’anno seguente, i comuni (soprattutto quelli più popolosi) non sembrano brillare. Anzi.
Ma andiamo con ordine. Le somme non spese destinate alla partecipazione dei cittadini saranno revocate come previsto dalla legge regionale numero 9 del 2015 che è intervenuta sulla numero cinque del 2014 (quella istitutiva, voluta dalla deputata pentastellata Gianina Ciancio) imponendo anche delle sanzioni per i comuni inadempienti. La legge ha conosciuto un’altra modifica, introdotta, su proposta del deputato regionale Claudio Fava, con la legge regionale numero 9 del 2020 che prevede che le somme non spese vadano invece ripartite in maniera proporzionale tra i comuni virtuosi che hanno impegnato correttamente i finanziamenti.
Restando alle cifre legate al 2018, dunque da restituire, alcuni dati saltano all’occhio. Uno su tutti: le maggiori città siciliane (Palermo, Messina e Catania) dovranno restituire in toto le somme ricevute. Cifre, vale la pena di specificare, sicuramente non da capogiro ma comunque simbolicamente importanti in termini di strumenti di partecipazione della cittadinanza. La città di Palermo si vedrà sottrarre 288.835 euro. Il capoluogo siciliano così per il terzo anno consecutivo si ritroverà a perdere i finanziamenti. Catania dovrà restituire più di 150.000 euro e Messina un contributi di oltre 108.000 euro. Siracusa non è da meno: la città di Archimede non ha speso nemmeno un centesimo dei 37453 euro previsti.
Un primato negativo in termini regionali lo ottiene la provincia di Ragusa: la meno virtuosa in termini di spesa. Deludono le performance dei centri più popolosi. “Prendendo in esame i 55 centri più popolosi della regione. Appena 19 sono i comuni virtuosi (ovvero il 34,55%) mentre ben 20 comuni (il 36,36%) dovranno restituire alla regione integralmente le somme”, si legge nel report. E non solo. “Nell’anno 2019 ben 127 comuni sui 390 (il 32,56%) della regione hanno speso zero – riporta il documento – e, pertanto, saranno chiamati alla restituzione totale delle somme. Altri 36 enti (il 9,23%) hanno spento solo parzialmente le cifre spettanti. Solo 185 comuni (pari al 47,43%) hanno impegnato correttamente le somme ricevute”. Numeri alla mano, un importante strumento di partecipazione diventa un’arma spuntata nelle mani di molte amministrazioni locali. A fare da contraltare però ci sono i risultati di svariati comuni di ridotte dimensioni e soprattutto quelli non tenuti per legge per via di particolari condizioni finanziarie ad impegnare le somme, ad esempio Alcamo Bagheria e Lentini che hanno comunque “deliberato somme per i progetti di democrazia partecipata”.
“Quando le risorse ci sono e le amministrazioni non sono capaci di utilizzarle la politica, tutta, è doppiamente colpevole. Oltre il 46% dei fondi destinati ai comuni per la democrazia partecipata non è stato impegnato, più di un terzo delle amministrazioni non ha saputo spendere un centesimo e meno della metà hanno correttamente impegnato le somme disponibili”, spiega Claudio Fava. Poi rincara la dose. “Un dato più basso di quello, già pessimo, registrato l’anno scorso. E nei comuni più grandi va anche peggio. Un doppio intollerabile spreco, di risorse – in un momento in cui ogni centesimo disponibile andrebbe adeguatamente utilizzato- e di opportunità di partecipazione alle scelte amministrative”. E aggiunge. “Ci auguriamo almeno che i 2 milioni di euro non spesi nel 2019 vengano riassegnati ai comuni che hanno saputo impegnare correttamente le risorse”.
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21 Dicembre 2020, 18:00