“Sono i mafiosi della provincia”| Sei arresti nel Palermitano

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17 Febbraio 2017, 16:59

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PALERMO – Li hanno arrestati ieri quando la Cassazione ha spento le loro speranze di assistere al processo a piede libero. Sette presunti mafiosi dei clan della provincia di Palermo finiscono in cella.

I supremi giudici hanno confermato la decisione del Tribunale del Riesame che aveva accolto l’appello della Procura contro la scelta del gip di non mandarli in carcere. Gli arrestati sono Filippo Colletti, Salvatore Cancilla, Rosario Lanza, Angelo Schittino, Saverio Maranto e Silvio Napolitano. Altre posizioni sono al vaglio della Cassazione. Si complica, invece, quella di Diego Rinella, Giuseppe Ingrao, Vincenzo Civiletto e Giovanni Di Marco. Gli vengono contestati nuove ipotesi di reato. I primi tre sono già in carcere, il quarto vive negli Stati Uniti e per la giustizia italiana è un latitante.

A fine maggio scorso i carabinieri del Gruppo di Monreale e della compagnia di Termini Imerese fotografarono gli assetti della mafia in una grossa fetta della provincia palermitana. La rifondazione di Cosa nostra era ripartita dagli anziani. Li chiamavano “i vattiati”, battezzati, per via della loro carriera criminale. Da San Mauro Castelverde a Trabia, passando per decine di piccoli centri, la nuova mafia guardava agli uomini e alle regole del passato. I capi mandamento sarebbero divenuti Diego Rinella e Francesco Bonomo. Il primo è fratello di Salvatore Rinella, storico capomafia di Trabia, e il secondo è genero di Peppino Farinella, capomafia di San Mauro.

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Dalle indagini coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leonardo Agueci i e dai sostituti Sergio Demontis, Sito De Flammineis, Gaspare Spedale, Ennio Petrigni e Bruno Brucoli era emersa un’attività frenetica di controllo del territorio attraverso l’imposizione del pizzo e una miriade di contatti con alcuni boss di Palermo.

La misura cautelare avrebbe potuto essere numericamente più pesante, ma il giudice per le indagini preliminari Fabrizio Molinari aveva respinto decine di richieste di arresto. I pubblici ministeri erano convinti che in tanti dovessero finire in carcere. Da qui l’appello al Riesame che gli ha dato ragione. La Cassazione ha messo il sigillo alla ricostruzione della Procura.

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17 Febbraio 2017, 16:59

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