09 Dicembre 2012, 07:00
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Caro Direttore,
Sono un uomo all’antica. Non sopporto l’insulto e l’oltraggio anonimo, “rito” a cui alcuni nuovi “videogiochi” dell’informazione come quello che tu amministri con sapienza non riescono a sottrarsi, pur di far audience. Lo capisco, ma sono giornalista vecchia maniera: in fondo ad ogni mio scritto metto la mia firma per mestiere. E con essa sancisco la mia responsabilità. Non posso e non voglio quindi permettere a nessuno di giocare impunemente con la mia faccia e la mia dignità umana e professionale. Soprattutto in una situazione come quella di cui stiamo parlando.
Se qualcuno ha qualcosa da dire, con lo stesso metodo, lo faccia. Sapendo che sarà certamente chiamato a risponderne in tutte le sedi appropriate. In ballo, sia chiaro, non ci sono “solo” 21 posti di lavoro. C’è la credibilità di una istituzione, la più alta istituzione regionale. Ci sono valori troppo facilmente “gridati”, come quello della “legalità”. C’è l’immagine stessa della Presidenza della Regione Siciliana, alla cui tutela ho dedicato 21 anni della mia – onorata – attività professionale. C’è, come vedremo, un cospicuo montante di denaro pubblico che, per superficialità o per ignoranza, rischia di essere sprecato, se non altro perché privandosi dei giornalisti la Regione getterebbe alle ortiche anni di costoso impegno finanziario. In un momento non certo opportuno.
Ma, soprattutto, ci sono 21 persone, con differenti dignità e sensibilità, da troppo tempo date in pasto alla folla assetata di sangue: un comportamento irresponsabile che – per la nostra riconoscibilità – ci espone non solo ai vili commenti anonimi pubblicati sui blog. Ma che è già diventato “tensione” e che può – in qualsiasi momento – diventare violenza.
Questa mattina, come sempre, sono al lavoro. A Bruxelles, dove vivo con la mia famiglia da due anni esatti. Oggi, nel mio calendario personale, è una giornata particolare per la legalità. E’ il primo anniversario della registrazione della testata giornalistica della newsletter “Sicilia in Europa” al registro della stampa del Tribunale di Palermo. E’ il primo giorno di Nicolò Marino da assessore. Ed è il primo giorno del mio presunto licenziamento.
Ma andiamo con ordine. La registrazione della testata fu un atto di legalità voluto, dal governo regionale: “Sicilia in Europa” era stata inventata, dieci anni prima, da Francesco Attaguile, al momento dell’apertura di un ufficio della Presidenza della Regione a Bruxelles. E io sono stato inviato a Bruxelles proprio per dare corpo e professionalità a uno strumento ritenuto utile a spiegare l’Europa agli operatori istituzionali e imprenditoriali siciliani.
Almeno questa fu la motivazione ufficiale. E a quell’epoca la newsletter rappresentava il momento centrale dell’impegno di 14 tra dirigenti, dipendenti e consulenti in servizio a Bruxelles. In realtà io sono stato “esodato” perchè non c’era altro sistema plausibile per un avvicendamento alla guida dell’ufficio stampa. Un avvicendamento repentino motivato da ragioni di opportunità politica. In coincidenza con l’avvento dell’ultima maggioranza di governo della scorsa legislatura.
Lo confermano i fatti: l’esodo si è presto rivelato una vera “deportazione” a Bruxelles, dove sono stato isolato e messo in condizione di lavorare solo con difficoltà estreme. Poi sono arrivate, sempre dalle stesse fonti, le accuse infamanti che qualcuno avrebbe voluto porre a motivo del mio presunto licenziamento.
Dico qui subito – con ogni facoltà di prova a carico dei tanti giornalisti “meno fortunati” a cui si possono ascrivere i commenti più odiosi e rancorosi contro l’ufficio stampa della Presidenza – che i tre anni della mia gestione sono gli unici in cui l’ufficio non è stato oggetto di critiche o di oltraggio. E’ un fatto indiscutibile. Mi sono insediato dopo la dolorosa vicenda dei cannoli che – tra iene e bassotti – ha sancito la fine del governo Cuffaro. E ho lasciato poco prima del tracollo giudiziario del governo Lombardo. Mi è toccato gestire “solo” una tortuosa fase politica tra le due grandi inchieste che hanno segnato la vita dell’istituzione “Regione Siciliana”.
La “mia” gestione è quella che ha visto: l’assegnazione dei giornalisti della presidenza alle sedi esterne e agli assessorati regionali; l’introduzione di un sistema editoriale; la razionalizzazione delle 14 rassegna stampa che a quell’epoca venivano realizzate (una, generalista, per la Presidenza e una, tematica, per ciascun assessorato); la realizzazione di un sito internet aggiornato in tempo reale; l’introduzione di un “media monitor” – di un sistema di misurazione e di valutazione dell’impatto delle notizie diffuse dall’ufficio -; il potenziamento del TG web della Presidenza, ritrasmesso da decine di piccole emittenti regionali; l’avvio della produzione e della distribuzione di materiali audiovisivi che permette oggi a tutti i siti internet e a tutte le tv – non solo siciliane – di avere in tempo reale consapevolezza dell’attività del governo.
Una attività di strutturazione dell’ufficio stampa che – nei tre anni – è passata attraverso la redazione di progetti editoriali e piani di comunicazione, di indagini e valutazioni d’impatto – come prevede la normativa nazionale e comunitaria. E che ha superato ogni anno, con successo, il vaglio di legittimità della Corte dei Conti e quello di produttività del cosiddetto “sepicos”. Tutto questo preambolo – me lo permetterai – serve a spiegare a quanti non lo sappiano, a cosa serva un ufficio stampa istituzionale: a garantire la trasparenza dell’amministrazione pubblica. Con professionalità e tempestività, fornendo risposte in tempo reale 24 ore su 24, a tutti i giornalisti italiani e stranieri.
Cosa diversa, naturalmente, dal “megafono” politico che tutti i presidenti appena eletti si aspettano di trovare. In ventuno anni di Presidenza ho conosciuto venti diversi governi: venti diversi presidenze (anche se certi nomi si ripetevano), centinaia di assessori. Di tutti i partiti. E ognuno di loro, il giorno dopo l’insediamento, pensava già di collocare al mio posto un proprio “fido” collaboratore, mero esecutore di ordini raramente imparziali, più spesso faziosi.
L’atteggiamento del presidente Crocetta non rappresenta quindi certamente una novità in questo scenario. Purtroppo per lui e per la Regione però, i suoi consiglieri della prima ora non sono evidentemente all’altezza della situazione. E lo inducono in errore. Per questo mi auguro che l’insediamento nell’ambito del governo regionale di un magistrato, serva a imporre una legalità non di parole, ma palpabile, concreta.
Ho conosciuto Nicolò Marino negli anni 80 del secolo scorso, all’inizio della sua e della mia carriera, mentre infuriava una delle più feroci guerre di mafia e sui palazzi del potere si abbatteva il ciclone giudiziario del Caso Catania. Non me lo ricordo affatto indulgente. Adesso però è atteso da un contesto dai contorni meno netti di quanto accade in “cronaca nera”, dove è certo il reato, è certo il giudice, certa è la pena. Poi, magari è lungo il processo, ma è altra storia.
Il diritto amministrativo è materia diversa. E’ la scienza del possibile. E’ anche, come dimostrano i primi atti del governo, la palestra dell’impossibile, dell’ardimento. Dove non arriva il diritto, spesso arriva la fantasia. E perfino i principi più chiari vengono messi in discussione. Tanto c’è sempre un giudice a dirimere le liti più dure. E’ accaduto con la vicenda della rimozione dei dirigenti generali. E si è ripetuto nel caso dell’ufficio stampa. Con licenziamenti annunciati a mezzo stampa, con la violazione di protocolli sindacali, di leggi e di contratti. Con buona pace dello stile che le istituzioni dovrebbero imporre.
Si tratta di errori che, se confermati nelle inevitabili sedi di giudizio, avranno costi enormi per le esauste casse regionali e produrranno effetti “visibili”, non certamente positivi, sulla già sfiancata macchina amministrativa. Ho fatto solo le “elementari” del diritto amministrativo: da cronista sono stato costretto a raccontare la Regione senza mai metterci le mani, come fanno invece gli avvocati i burocrati esperti che ho sempre avuto come fonte. Non mi avventuro quindi in difficili questioni metagiuridiche.
Voglio solo, anche in questo caso, raccontare una storia amministrativa, che conosco bene perchè mi riguarda ma – soprattutto – perchè dimostra quanto grave sia l’errore a cui è stato indotto il Presidente della Regione. Un dato è certo: la Procura della Corte dei Conti ha intentato l’ormai “famoso” processo contro Cuffaro e Lombardo, per l’assunzione di 20 giornalisti in servizio alla Presidenza della Regione. Processo che è stato affiancato da un procedimento-fotocopia con le contestazioni degli abusi sul piano penale.
Le posizioni di tre giornalisti – in servizio ce n’erano infatti 23 – furono stralciate. I tre – tra cui c’ero anch’io – sono stati assunti, tra il 1985 e il 1995 – secondo una procedura che prevedeva: l’ istanza dell’interessato, la valutazione dei titoli da parte della prima commissione dell’assemblea regionale, l’assenso della giunta di governo e – infine – il visto preventivo di legittimità del decreto di nomina, rilasciato proprio dalla Corte dei Conti: una procedura concorsuale a tutti gli effetti.
Questa circostanza ha fatto scrivere alla Procura – non al mio avvocato – che l’ufficio stampa della Presidenza era composto da “giornalisti dipendenti della pubblica amministrazione, sebbene fuori ruolo” e da “giornalisti esterni” assunti sulla base della stessa normativa, ma con differenti modalità, dopo l’entrata in vigore della legge nazionale sugli uffici stampa, la legge 150 del 2000. Della situazione dei nostri 20 colleghi si è tanto parlato e si parlerà ancora a sproposito. Motivo per cui di questo taccio. Segnalo però che il diverso “status giuridico” è il motivo per cui l’addebito sia erariale che penale, contestato ai presidenti Cuffaro e Lombardo riguardava solo 20 giornalisti su 23.
E’ proprio questo il motivo che rende la lettera inviata a me e a Giancarlo Felice frutto di un palese errore: un “dipendente” della pubblica amministrazione assunto con procedure concorsuali non è licenziabile per difetto di fiducia. Circostanza che non avrebbe bisogno di essere dimostrata. Non certo ai superdirigenti che operano in Regione.
Io sono quindi legittimamente in servizio, e mi sto occupando della Newsletter che dirigo a termini di legge. E che è ferma stranamente proprio da quando si è concretizzata l’ipotesi che la Regione perdesse una “paccata” di milioni di euro di fondi comunitari: da luglio ad ottobre sono infatti stato costretto a un lungo periodo di ferie d’ufficio. Nei tre anni di coordinamento, a Palermo, non ero riuscito a fermarmi neanche per 24 ore. Come potranno confermare senza vuoti di memoria decine di colleghi in ogni angolo d’Italia.
E’ per questo che ho cumulato oltre 150 giorni di riposi arretrati. Altro che assenteista!
Tengo a sottolineare che non intendo discostare o differenziare il mio atteggiamento di un millimetro, rispetto alla linea di intransigenza giuridico sindacale concordata con i colleghi dell’ufficio stampa. Mi permetto anzi, da sindacalista militante, di “offrire” l’esempio dell’errore che mi riguarda a sostegno della causa che l’Assostampa siciliana sta predisponendo a favore di tutti i componenti dell’ufficio. Niente di più – o di meno – di ciò che deve fare un sindacato: difendere in primo luogo i posti di lavoro di tutti i suoi iscritti.
E’ stato immotivatamente interrotto un servizio pubblico previsto da leggi in vigore, procurando un danno certo alle casse regionali. E il principio di legalità prevede che i responsabili siano chiamati a renderne conto. Molti ricorderanno che lo strano procedimento amministrativo attivato dal presidente contro l’ufficio stampa è partita proprio con un attacco “personale” indirizzato a me, dinanzi una platea di giornalisti internazionali, in conferenza stampa al Parlamento europeo. Accuse ripetute perfino su raiuno, in fascia protetta, ospite Massimo Giletti, assistito da Klaus Davi, che – incidentalmente – di Crocetta-sindaco è stato consulente per l’immagine.
Il Presidente della Regione ha ingiustamente affermato che un dirigente della pubblica amministrazione non solo era da considerare “assente ingiustificato” in occasione della sua prima visita ufficiale, ma da additare come conclamato assenteista sistematico. Per il “reo” sarebbe già stato un guadagno far immediato ritorno in Patria rimettendoci il posto, piuttosto che finire in Procura. Parola di massimo rappresentante delle istituzioni regionali, rappresentante – per Statuto – dello Stato, responsabile dell’ordine pubblico e comandante in capo delle forze di Polizia. Tutto, beninteso, in totale spregio delle regole del minimo contraddittorio tra le parti.
Le prove? Le sue dodici visite nella sede di Bruxelles e una relazione della dirigente dell’ufficio, ex moglie del sindaco di Gela che fu suo successore.
La risposta? In occasione della visita ufficiale avevo chiesto di rientrare anticipatamente e a mie spese dalle ferie “forzate”, proprio per assistere il Presidente. Mi à stato “scritto” che non era né opportuno, né richiesto. All’epoca delle – dodici – visite dell’eurodeputato Crocetta, io lavoravo – invece – per un “diverso” Presidente della Regione, in rapporto di “staff” con il dirigente generale degli affari extraregionali.
Per questo motivo ho incontrato l’on. Crocetta solo nelle due occasioni in cui la sua presenza aveva una motivazione ufficiale per la Presidenza della Regione Siciliana. Le sue altre dieci visite, di cui non sono mai stato informato, avranno avuto probabilmente altre finalità, di cui non conosco la natura. Semplicemente, non ci siamo incontrati.
Per quanto riguarda le relazioni che il Presidente afferma di aver avuto dalla dirigente dell’ufficio di Bruxelles, ho già dato mandato al mio legale di verificare se, nel dubbio, in queste circostanze si configurino profili di illecito penale, non esclusa l’ipotesi di concussione.
In realtà appare singolare che la dirigente dell’ufficio di Bruxelles prenda parte attiva in una discussione che riguarda – a qualsiasi titolo- la rilevazione delle presenze nella sede di rue Belliard. Fornisco in questa circostanza una notizia giornalistica che non è uno scoop, ma che probabilmente è “pertinente”: pende a suo carico infatti un accertamento “automatico” per danno erariale. La Regione ha dovuto pagare le spese sostenute dalla ditta che non ha potuto eseguire il collaudo. I tecnici arrivati da Roma per attivare il rilevatore automatico di presenze – così recita il decreto di spesa – sono stati messi alla porta proprio dalla dirigente.
La Guardia di finanza – a Palermo – vuol capire perchè: e ha chiesto i tabulati delle presenze degli ultimi due anni. Per rintracciare i “fogli firma” inviati per fax da Bruxelles è successo un parapiglia. Qualcuno sussurra che l’esame della frequenza delle firme, potrebbe riservare sorprese. Da cronista, mi pare corretto segnalare che da venerdì della scorsa settimana l’ufficio di Bruxelles è chiuso. Non si hanno notizie né della “dirigente”, né dell’unica impiegata da ella “diretta”. Circostanza che, comunque, si potrebbe definire “usuale”.
Posso infatti confermare – anche sotto giuramento – che l’ufficio di rue Belliard, almeno negli ultimi due anni, è stato sistematicamente chiuso sia a dicembre che ad agosto. I telefoni ed internet sono stati “staccati” da luglio 2011 ai primi di marzo del 2012 e nessuno se ne è lamentato. Il riscaldamento non ha mai funzionato…
Un ultima nota a proposito di “privilegi”: il mio presunto superstipendio. Segnalo che sono stato assunto – nel 1991 – quando ero caporedattore già da due anni. Coordinavo una redazione di 15 professionisti e guadagnavo a Telecolor, a Catania, 2 milioni di lire in più ogni mese, rispetto allo stipendio pubblico. Per non parlare dei benefit. Ma all’epoca avevo già 10 anni di anzianità aziendale che, entrando in Regione ho naturalmente perso. Adesso ho 21 anni di servizio pubblico. E il mio stipendio – lo dimostrerò con una causa civile contro la Regione – non è stato adeguato agli aumenti previsti dal contratto di lavoro.
E’ vero, fino ad oggi ho percepito una indennità di residenza all’estero. Ma non ho scelto io di trasferirmi con tutta la famiglia al seguito. Mi pare quindi giusto che l’amministrazione paghi quanto previsto dalla legge. Ma non è andata neanche così. Per motivi che qualcuno dovrà spiegare e motivare, fino ad oggi ho percepito il 50 per cento di quanto la stessa amministrazione ha determinato di dover pagare. Dovrei essere retribuito da “dirigente”: percepisco 1000 euro meno di un usciere. Meno di quanto abbia mai percepito qualsiasi dipendente italiano mai trasferito a Bruxelles.
Posso affermare che la politica non mi ha regalato niente, tranne qualcosa che qualcuno chiama mobbing.
Gregorio Arena
Pubblicato il
09 Dicembre 2012, 07:00