10 Giugno 2020, 16:41
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PALERMO – Si sarebbe presentato in un cantiere edile a chiedere il pizzo forte del peso mafioso del suo cognome. Il giudice per l’udienza preliminare Fabio Pilato ha condannato Antonino Graviano a 8 anni di carcere per tentata estorsione e detenzione di arma clandestina. Accolta la richiesta del pubblico ministero Dario Scaletta.
I carabinieri del Ros, coadiuvati da quelli del Comando provinciale di Palermo, lo arrestarono in flagranza di reato nel maggio dell’anno scorso. Aveva preso di mira un’impresa impegnata nei lavori di ristrutturazione di un edificio privato. Il titolare non si è piegato e ha denunciato tutto ai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale che hanno attivato servizi di osservazione e pedinamento.
Ed è così che hanno monitorato le visite in cantiere di Graviano. Si presentava in bicicletta e il suo modus operandi era quello tipico di Cosa Nostra: per lavorare in tranquillità l’imprenditore doveva pagare il pizzo e i soldi erano destinati ai detenuti. Le telecamere dei carabinieri hanno immortalato il momento in cui gli operai, impauriti dalle minacce di Graviano, sono fuggiti di corsa dal posto di lavoro. Durante la perquisizione a casa dell’imputato furono fu sequestrato un revolver Smith & Wesson 357 magnum con matricola abrasa.
Ricettazione, rapina, furto: è lungo l’elenco dei precedenti penali di Graviano, figlio di Francesco, cugino quest’ultimo di primo grado dei boss ergastolani Filippo e Giuseppe. Quando Graviano si presentò nel cantiere edile per chiedere il pizzo, così raccontò l’imprenditore che lo ha denunciato, chiarì subito: “Sono di Brancaccio e anche quelli che sono dentro devono mangiare”.
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10 Giugno 2020, 16:41