09 Dicembre 2018, 19:21
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PALERMO – Prendete Gregorio Di Giovanni. Il boss di soprannomi ne ha più di uno. Innanzitutto è il revuccio, signore incontrastato di Porta Nuova, il mandamento di cui è il capo indiscusso. E con questi galloni sedeva al tavolo della nuova Cupola di Cosa nostra.
Un pubblico ministero che chiede a un pentito informazioni sul suo conto è obbligato a partire dalla domanda: “Conosce un certo revuccio?”. I mafiosi, infatti, hanno smesso di citare Gregorio Di Giovanni per nome e cognome. Nel suo caso, in realtà, serve più di una domanda visto che al boss di nomignoli ne sono stati affibbiati parecchi. Tignusu è di facile comprensione per uno come lui che ha problemi di calvizie. Più complicata la spiegazione per corsettina. Bisogna davvero essere in contatto con il capomafia, incontrarlo spesso per notare che se ne va quasi sempre in giro con tuta e scarpe da ginnastica. Non serve spiegare perché alcuni lo chiamino quello che non ride. Ai più resta impressa la sua espressione quasi sempre arcigna. C’è ci scherza sopra e con una punta di ironia si spinge a chiamarlo sorriso. Chissà se Di Giovanni sarà contento del nomignolo. Di sicuro non lo sarà colui che, senza troppi fronzoli, è conosciuto come puzza di merda.
La storia di mafia è una storia di nciùrie. Alcune arrivano dritti al sodo e sono ormai patrimonio di comune conoscenza. Se si dice u curtu si pensa subito a Totò Riina che non spiccava in altezza, stessa cosa per Binu u tratturi nel caso di Bernardo Provenzano (per la violenza con cui falciava le sue vittime) e madre natura per Giuseppe Graviano (nessuno nelle gerarchie mafiose stava più in alto di lui e poteva decidere sulla vita e la morte delle persone). E che dire di Michele Greco, il papa della mafia.
Con l’ultimo blitz si arricchisce il libro dei soprannomi. Molto classico lo zio con cui tutti si rivolgono a Settimo Mineo, il boss di Pagliarelli che ha presieduto la riunione della commissione provinciale di Cosa nostra. Un segno di rispetto per la sua caratura mafiosa e per l’anzianità.
La stragrande maggioranza dei nomignoli deriva da caratteristiche fisiche e comportamentali, ma ce ne sono alcuni incomprensibili: Francesco Caponetto occhi beddi, Enrico Scalavino muschidda, Francesco Inzerillo u truttatuiri, Salvatore Sorrentino lo studentino (anche se di recente lo chiamavano bicicletta perché, privato della patente, era costretto ad andare in giro con una bici elettrica), Salvatore Mulè papparieddu, Massimo Mulè il topo, Salvatore Troia il francese.
A completare l’elenco ci sono in soprannomi che a volte non solo solo incomprensibili, ma pure anonimi perché non sono stati associati ad una persona in carne e ossa: … quello che ride, pezzo di rosticceria, scarpe colorate. Ai carabinieri il compito di identificarli.
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09 Dicembre 2018, 19:21