04 Luglio 2023, 05:01
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CATANIA – Battute finali per il processo sulla sparatoria di Librino dell’agosto 2020. Nell’udienza-fiume di ieri del procedimento Centauri hanno presentato le proprie conclusioni alla corte gli avvocati di Carmelo Distefano, Roberto Campisi e Santo Tricomi ovvero le tre persone per le quali è stato chiesto l’ergastolo. Chiesta, in tutti e tre i casi, l’assoluzione. Appuntamento alla prossima udienza per il ritiro in camera di consiglio della corte d’Assise.
Nel corso del processo Centauri Carmelo Distefano è stato dipinto come il leader dei Cursoti milanesi all’epoca dello scambio a fuoco di viale Grimaldi, in cui il gruppo si scontrò con il clan Cappello. Proprio questo ruolo, e la sua stessa presenza sulla scena della sparatoria in cui morirono Luciano D’Alessandro ed Enzo Scalia, è stato contestato dai due avvocati Luca Cianferoni e Mario Brancato.
Per Cianferoni, “la prova di colpevolezza a carico di Distefano non si è formata” nel corso del dibattimento, e Distefano non sarebbe intervenuto in nessun modo nella sparatoria di viale Grimaldi. “Non ci sono elementi sulla scena del delitto – dice Cianferoni nella sua arringa – che possano dimostrare che Distefano fosse presente in viale Grimaldi”.
Tanto è vero, prosegue la difesa di Distefano, che in un primo momento l’uomo, che è stato fin dall’inizio identificato come leader dei Cursoti milanesi, non è neanche chiamato in causa dalle forze di polizia giudiziaria che indagano sulla sparatoria di Librino. “Distefano all’inizio non è incluso nel progetto investigativo – dice Cianferoni – e non si effettuano perquisizioni domiciliari a casa sua, né si analizza il suo telefono”.
Sulle indagini e sul comportamento di Distefano nelle ore immediatamente successive alla sparatoria si concentra anche l’avvocato Brancato. Distefano, all’epoca sottoposto a obbligo di firma, appena un’ora dopo la sparatoria va a firmare al commissariato di Librino: “Ora – dice Brancato – se uno ha appena partecipato a una sparatoria di quella entità, scappa o va in commissariato? Per logica scapperebbe, dato che tra l’altro saprebbe bene di essere in pericolo in tutta la città. Invece Distefano firma in commissariato e va a casa, è estraneo ai fatti”.
In che modo allora Distefano è collocato sulla scena del delitto, e viene anzi descritto come il capo dei Cursoti milanesi? Per i difensori di Distefano, e anche per la difesa di Roberto Campisi, tutto dipende dalle dichiarazioni dei tre fratelli Sanfilippo, diventati in tempi diversi collaboratori di giustizia. È per allontanare da sé le proprie responsabilità che i tre fratelli, soprattutto Martin Carmelo, tirano in ballo Distefano e Campisi.
Il primo a tirare in ballo Carmelo Distefano, sottolineano entrambi i suoi difensori, è proprio Martin Carmelo Sanfilippo. Il quale, secondo l’accusa, era a bordo della Panda che si trova di fronte alla colonna di moto e scooter dei Cappello al loro arrivo in viale Grimaldi, e che avrebbe, sempre secondo l’accusa, esploso solo un colpo di pistola e poi sarebbe fuggito.
Proprio questa circostanza però è contestata dai difensori di Distefano e anche da quello di Campisi, che ricordano come, secondo le dichiarazioni di uno dei feriti, Martin Carmelo avrebbe sparato diversi colpi in direzione dei Cappello. Sia l’avvocato Cianferoni che Brancato suggeriscono in aula che in realtà sarebbe stato proprio Martin Carmelo Sanfilippo a uccidere Luciano D’Alessandro: “Martin Carmelo era l’unico armato sulla Fiat Panda rimasta nei pressi del corpo”, dice Cianferoni; “Sanfilippo Carmelo è riconosciuto come un soggetto che spara all’impazzata da altri soggetti” dice Brancato. Entrambi gli avvocati poi smontano la tesi secondo cui i colpi che hanno ucciso sarebbero stati sparati da Distefano, collegandoli alla pistola di Martin Carmelo Sanfilippo.
Ai fratelli Sanfilippo poi sono riconducibili, sostengono ancora i difensori di Distefano e di Campisi, diversi elementi chiave della sparatoria: appartengono a loro le due auto su cui viaggiavano i Cursoti; le armi sono a casa di Martin Carmelo Sanfilippo, e “Distefano non dà nessun ordine di distribuirle”, dice Cianferoni; i fratelli gestivano una piazza di spaccio in viale Grimaldi e l’azione dei Cappello sarebbe stata rivolta contro di loro. In particolare, Cianferoni stacca gli eventi del giorno prima, l’aggressione a Nobile in via Diaz, dalla sparatoria: “Non è un reato-spia”, dice l’avvocato.
I fratelli, poi diventati collaboratori, avrebbero dunque deciso di gettare la colpa su Distefano e Campisi per allontanarla da sé. Nel farlo, si sarebbero parlati per dare versioni concordanti. “I signori Sanfilippo tra loro parlavano – dice l’avvocato Cianferoni – facevano chiamate utilizzando dei telefonini in carcere. Mi fa pensare che ci sia un problema di permeabilità tra i collaboratori per aggiustare le tesi dell’accusa”.
In questo senso, prosegue Cianferoni, vanno considerati anche i verbali di interrogatorio e i materiali arrivati alla stampa. “Non capisco come alla rivista S possano arrivare questi materiali – dice Cianferoni – C’è un continua rappresentazione dei fatti sui media e si pone un problema di genuinità dei collaboratori”.
Proprio per questo, Cianferoni sostiene che “non è stato superato il dubbio della contaminazione tra i collaboratori. L’onere della prova non è risolto, dunque Distefano va assolto”.
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04 Luglio 2023, 05:01