11 Luglio 2023, 05:01
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CATANIA – Una strada di poco più di duecento metri. Quattro minuti. Due morti. Per tre anni il processo sulla sparatoria di Librino ha ricostruito i fatti della tarda serata dell’otto agosto 2020, quando un commando del clan Cappello e uno dei Cursoti milanesi si affrontarono a fuoco per strada.
Intorno a quei quattro minuti e a come furono vissuti dai Cursoti è ruotato tutto il processo Centauri, arrivato ieri a sentenza con la condanna di Carmelo Distefano, Roberto Campisi, Michael Agatino Sanfilippo, Martin Carmelo Sanfilippo, Davide Agatino Scuderi e l’assoluzione di tutti gli altri imputati. Dalla sparatoria alle condanne, una vicenda processuale che ha visto anche diverse collaborazioni con la giustizia.
Sono da poco passate le 19:30 dell’otto agosto 2020 quando i centralini delle forze dell’ordine sono presi d’assalto dagli abitanti di viale Grimaldi. Due commando si sparano per strada in pieno giorno, mentre a poca distanza ci sono dei bambini che giocano.
I Carabinieri arrivano sul posto e trovano due corpi senza vita, Enzo Scalia e Luciano D’Alessandro, entrambi vicini al clan Cappello. Intorno ai due, decine di bossoli e degli scooter caduti per terra. Le prime ricostruzioni parlano di un regolamento di conti tra diversi clan. Subito, nei giorni successivi, vengono arrestate cinque persone, sospettate di essere parte dei Cursoti milanesi e di avere preso parte alla sparatoria. Sono gli stessi per i quali si è pronunciata la Quarta Corte d’assise di Catania, ieri: Carmelo Distefano, Roberto Campisi, Santo Tricomi e i fratelli Sanfilippo.
Proprio in quei giorni, uno degli arrestati decide di collaborare con la giustizia. Si tratta di Martino Carmelo Sanfilippo, che ammette di essere stato su una delle due auto coinvolte nello scontro a fuoco di viale Grimaldi. Sanfilippo fa i nomi degli occupanti delle altre auto e conferma agli investigatori la presenza di Distefano, di Campisi e di suo fratello Michael Agatino.
In quei giorni, proprio sull’onda della collaborazione di Martino Carmelo, gli altri due fratelli Sanfilippo sono in allarme. Cambiano clan di appartenenza, e secondo alcune intercettazioni, emerse nel corso di altri procedimenti, cercano di prendere le distanze dal fratello. In seguito, decideranno di collaborare anche loro, così come Davide Agatino Scuderi, anche lui presente in viale Grimaldi su una delle due auto dei Cursoti milanesi.
Incrociando le dichiarazioni dei collaboratori i pm arrivano a una ricostruzione dei motivi che hanno portato allo scontro a fuoco. A motivi criminali, ovvero la rivalità tra Cursoti milanesi e Cappello nel controllo delle piazze di spaccio, in quei giorni si aggiunsero anche altri motivi di tipo personale.
In particolare, il giorno prima della sparatoria un gruppo composto da Carmelo Distefano, Roberto Campisi, i due fratelli Sanfilippo Michael Agatino e Martino Carmelo, Davide Scuderi e Santo Tricomi va in un supermercato di via Diaz e aggredisce il gestore Gaetano Nobile. Il pestaggio sarebbe dovuto a storie di donne, ed è, secondo la ricostruzione della Procura, il momento in cui si accende la miccia che avrebbe portato all’esplosione del giorno dopo. Da quel momento, infatti, i membri dei Cappello e quelli dei Cursoti sono sul chi vive, aspettandosi un qualche tipo di scontro.
Va precisato che per la spedizione in via Diaz la Corte d’assise, nella sentenza, ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti degli imputati.
Nel corso del processo Centauri è emerso il ruolo di Carmelo Distefano come leader dei Cursoti milanesi, nel periodo in cui avvenne la sparatoria. Secondo l’accusa, e la ricostruzione offerta dai collaboratori di giustizia, Distefano aveva preso in mano il clan e ne gestiva il traffico di droga e le altre attività. In questo quadro, a Martino Carmelo Sanfilippo era stata affidata la piazza di viale Grimaldi, dove è avvenuta la sparatoria di Librino.
Proprio questa ricostruzione dei fatti però è stata duramente contestata, soprattutto da Distefano e Campisi, nel corso di tutto il processo. I due, ricorrendo spesso alle dichiarazioni spontanee, hanno accusato i fratelli Sanfilippo e Davide Scuderi di avere concordato le proprie versioni per allontanare da sé le responsabilità e caricarle tutte su Distefano e Campisi.
Le dichiarazioni spontanee dei due sono state spesso fermate dalla presidente della Corte Maria Pia Urso, proprio perché travalicavano la difesa personale per mettere in discussione le dichiarazioni di altri testi, accusandoli di mentire.
Dopo aver sentito testimoni e collaboratori, il processo è arrivato alla requisitoria del Pm e alle arringhe degli avvocati difensori. Il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e il procuratore Alessandro Sorrentino hanno ricostruito, in aula e in una memoria scritta, la sequenza di eventi che portò alla sparatoria, dal quadro criminale catanese all’aggressione di via Diaz. Poi hanno fatto rivivere in aula, attimo per attimo, i momenti della sparatoria, con il gruppo dei Cursoti milanesi che capisce di essere sotto attacco, si arma, entra in contatto con la colonna di moto dei Cappello e inizia lo scambio a fuoco.
Gli avvocati difensori hanno seguito strategie diverse, a seconda della posizione degli imputati. Hanno sottolineato la loro estraneità alle dinamiche criminali i difensori di Nicolosi e di Viglianesi: (“La difesa del Nicolosi non può che esprimere la propria soddisfazione per la sentenza assolutoria emessa dalla Corte d’Assise che restituisce la libertà ad un giovane di appena 21 anni dopo due anni di calvario trascorso in carcere“, spiega a LiveSicilia il legale Andrea Gianninò). Ha ricordato come l’imputato non fosse presente alla sparatoria il difensore di Santo Tricomi. Mentre hanno esposto la tesi delle dichiarazioni concordate i difensori di Carmelo Distefano e di Roberto Campisi, i quali hanno accusato i Sanfilippo, soprattutto Martino Carmelo, di avere gettato tutto il peso della vicenda su altre persone per liberarsi delle proprie responsabilità.
In particolare l’avvocato Luca Cianferoni, difensore di Carmelo Distefano, ha dichiarato durante il suo intervento: “Questo processo vuole inventarsi un gruppo Distefano, ma non esiste alcun clan Distefano”.
Fino a ieri, con la sentenza che, condannando alcuni degli imputati, ha comunque ridotto le pene chieste dalla pubblica accusa. Distefano e Campisi, infatti, sono stati condannati a 20 anni, con la Procura che aveva chiesto per loro l’ergastolo Dieci anni e otto mesi a Martino Carmelo e Michael Agatino Sanfilippo, così come a Davide Agatino Scuderi.
Assolti tutti gli altri imputati: Santo Trigomi, per i quali era stato chiesto l’ergastolo; Rosario Viglianesi e Giovanni Nicolosi, per i quali erano stati chiesti trent’anni. Assolti infine Emilio Gangemi e Angelo Condorelli, per i quali gli stessi pm avevano chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto.
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11 Luglio 2023, 05:01