Spese sanitarie e costi in Sicilia. La Corte: "Disposizioni "illegittime" - Live Sicilia

Spese sanitarie e costi in Sicilia. La Corte: “Disposizioni “illegittime”

Ecco le norme regionali contestate

ROMA – Prestazioni sanitarie, limiti di spesa a carico del bilancio regionale e costo del personale nelle società a partecipazione pubblica. La scure della Corte costituzionale si abbatte sulla legge 3 del 2024 della Sicilia, con la dichiarazione di illegittimità costituzionale di alcune disposizioni.

Il ricorso della presidenza del Consiglio dei ministri ha da dato il via alle verifiche della Corte Costituzionale, tra le motivazioni principali c’è l’aumento dei costi delle prestazioni, in violazione dei limiti del Piano di rientro dal disavanzo sanitario.

Spese sanitarie, le norme “illegittime” costituzionalmente

“La Regione Siciliana – scrive la Corte, riprendendo i rilievi del Governo – è sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario, in base al quale essa non può erogare livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale, con il conseguente rilievo che…gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano medesimo”.

Le censure del Governo

La Corte ha accolto le censure del Governo dirette, anzitutto, contro la previsione dell’“adeguamento” delle rette sanitarie.
L’aumento delle tariffe, previsto a carico del bilancio regionale, non è in linea – ha precisato la Corte – con i valori nazionali di riferimento e si traduce in una spesa sanitaria ulteriore rispetto agli esborsi concordati in sede di approvazione del Piano di rientro, dal quale discende la cornice economico finanziaria in cui la Regione è tenuta a muoversi”.

Per ragioni analoghe, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche della disposizione che ha esteso, fino al 2026, la particolare “indennità di funzione” introdotta, durante il periodo dell’emergenza pandemica, in favore delle strutture private accreditate con il Servizio Sanitario Regionale.

“Tale misura, che ha consentito l’erogazione di prestazioni sanitarie oltre il budget annuale concordato – aggiunge la Corte – con il Servizio Sanitario Regionale, era stata stabilita dalla precedente legge della Regione Siciliana numero 9 del 2020 per il solo triennio 2020-2022 (peraltro, in conformità ad analoghe previsioni nazionali, legate all’emergenza pandemica), con l’obiettivo di garantire un regolare flusso di cassa e di mantenere la continuità del servizio”.

L’estensione “oltre i limiti temporali” della misura

La Corte annota anche che con la legge impugnata, la Regione Siciliana “ha disposto l’estensione della misura oltre i limiti temporali legati al periodo dell’emergenza, in tal modo venendo meno ai vincoli discendenti dal sistema nazionale del budget di spesa, illegittimamente ampliando gli esborsi a carico del bilancio regionale, già in precario equilibrio”.

Il riconoscimento per le Rsa

Trattandosi di spese coperte “dal sistema del budget”, la Corte ha rigettato le censure del Governo dirette contro la previsione dell’articolo della stessa legge, che consente il riconoscimento, in favore delle Residenze Sanitarie Assistenziali accreditate con il Servizio Sanitario Regionale, “della parte fissa delle spese per il personale”.

La legge siciliana ha stabilito che queste spese, pur sempre a carico del bilancio regionale, sono riconosciute “senza ulteriori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito del budget assegnato in sede di contrattualizzazione, in tal modo fornendo espressa garanzia che non vi saranno spese ulteriori rispetto a quelle programmate”.

Limiti e condizioni degli aumenti

La Corte ha rigettato la questione promossa sull’articolo 138 della legge regionale.
Questa disposizione,
basata sul “dichiarato fine di garantire il funzionamento delle case della comunità e degli ospedali di comunità”, ha sancito “l’aumento annuale del 15 per cento dei limiti di spesa destinati al personale degli enti del Servizio Sanitario Regionale, richiamando, tuttavia, le norme statali che, proprio al fine dell’ampliamento degli organici e dei conseguenti maggiori esborsi, impongono determinati limiti e condizioni”.

I compensi per gli amministratori e i dipendenti delle partecipate

Infine, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 57, comma 6, che disciplinava i compensi per gli amministratori e i dipendenti delle società partecipate.

“La disposizione regionale – scrive ancora la Corte – in attesa dell’adozione di apposito decreto ministeriale, chiamato a determinare detti compensi” aveva stabilito transitoriamente di estendere alle partecipate la disciplina sui compensi per i componenti degli organi di amministrazione e di controllo degli enti pubblici. Tutto si basava su un d.O.C.m. del 2022.

La Corte ha rimarcato che, per espressa previsione della legge nazionale, l’applicazione di quel regolamento “è espressamente esclusa per le società. Il legislatore regionale, pertanto, ha violato un limite che, in quanto attinente al rapporto privatistico tra la società e i suoi dipendenti, afferisce alla materia dell’«ordinamento civile» rimessa, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione – conclude – alla competenza esclusiva del legislatore nazionale”.


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