18 Dicembre 2015, 19:45
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(di Lara Sirignano) (ANSA) – PALERMO – Usa un’espressione che suona come un ossimoro: bombe di dialogo. Così Luciano Violante, ex presidente della Camera ed ex presidente della Commissione Antimafia a ridosso delle stragi degli anni ’90, definisce gli attentati mafiosi del ’93, a Roma e Milano. Per cinque ore Violante ha deposto al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia che vede imputati boss del calibro di Riina, Bagarella e Cinà, ex ufficiali dell’Arma, politici della Prima e Seconda Repubblica come Dell’Utri e Mancino, il pentito Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino. Dietro al tritolo che, la notte tra il 27 e il 28 luglio, esplose in via Palestro, a Milano, e a San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma, c’era Cosa nostra: Violante lo ipotizzò subito. Mentre altri esponenti del suo partito, l’allora Pds, pensarono alla matrice terroristica.
“Capii che si trattava di mafia – ha spiegato ai giudici della corte d’assise – e pensai che fossero prove di dialogo”. “Se si vuole fare una strage, se si vogliono seminare morti – ha detto – si agisce di giorno, non di notte, quando per strada non c’è nessuno”. La tesi dell’allora presidente della Camera fu dunque che qualcuno all’interno di Cosa nostra volesse lanciare un segnale alle istituzioni. Un po’ come dire, questo è il nostro potenziale. Non facciamo danni maggiori in cambio di una contropartita. E per Violante la “contropartita” non poteva che essere un alleggerimento del 41 bis che riguardasse, però, singole posizioni, in quanto eventuali modifiche legislative del carcere duro, oltre che essere poco realizzabili in quel momento storico – siamo dopo gli attentati a Falcone e Borsellino -, sarebbero dovute passare per il Parlamento.
Il teste ha poi raccontato di avere scritto, saputo dell’alleggerimento del 41 bis per alcuni mafiosi, all’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso chiedendogli un quadro dell’applicazione dell’istituto del carcere duro. Conso rispose, ma non fece cenno alla revoca e alle mancate proroghe di 334 provvedimenti di 41 bis disposti a fine ’93. Sempre in tema di carceri, Violante ha riferito di essere rimasto sorpreso della decisione di sostituire Nicolò Amato con Adalberto Capriotti alla guida del Dap. “Aveva fatto bene – ha spiegato – e gli fu preferita una persona con poca esperienza. Non capii perché, ma non credo ci fosse un collegamento con le revoche ai 334 boss”. Al centro della deposizione anche la richiesta di incontro che, tramite l’allora capitano del Ros Mario Mori, oggi imputato al processo, Vito Ciancimino gli fece. Violante declinò l’offerta. “Voleva parlarmi degli scenari politici dell’omicidio Lima, io risposi che doveva chiedere una audizione all’Antimafia, non a me”.
Per l’accusa proprio Ciancimino, contattato dal Ros, sarebbe stato il primo tramite della trattativa tra le istituzioni e la mafia. Di Mori, ha detto il teste, “ho sempre avuto stima, anche se non mi piacevano i metodi suoi e del gruppo antiterrorismo di dalla Chiesa che avevo conosciuto quando facevo il magistrato a Torino”. L’ex presidente della Camera li riteneva “troppo autonomi dall’autorità giudiziaria”
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