27 Dicembre 2014, 17:51
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PALERMO – All’inizio erano affari edilizi. Poi, con la crisi del mattone, hanno dovuto diversificare. Il business di oggi è quello delle macchinette mangiasoldi. Il punto è che – nonostante indagini, processi e sequestri – le famiglie Galatolo, Graziano e Madonia sono rimaste indissolubilmente legate grazie al denaro. Il pentimento di un pezzo grosso del clan Galatolo, Vito, manderà in frantumi una catena che parte da lontano e arriva fino ai nostri giorni.
Nel 2012 Vincenzo Graziano era detenuto al carcere Pagliarelli di Palermo. Aveva un chiodo fisso: assicurare lo stipendio ai fratelli Madonia. E al figlio Camillo chiedeva di andare per “i medicinali” dal “farmacista”. Frasi accompagnate dal gesto di chi, muovendo pollice e indice, fa un segno per indicare il denaro. Il farmacista è Aldo Madonia, fratello dei boss Salvatore, Antonino e Giuseppe, a cui Vincenzo e Domenico Graziano, pure loro fratelli, dovevano garantire mille euro al mese per le sole spese carcerarie.
Più sostanziosi gli stipendi che incassava Vito Galatolo. È lui stesso a parlare delle cifre: “La famiglia Graziano ha sempre mantenuto la mia famiglia, mensilmente quando chiedevo a chiunque di loro mi davano circa dai 5.000 ai 7.500 al mese; qualunque fosse la richiesta, loro non mi facevano problemi”. E non potevano fare altrimenti, racconta sempre Galatolo, “fino agli anni Novanta mio padre gestiva tutto ed era socio (con mio zio Pino) dei Graziano al 50% e l’altro 50% veniva suddiviso fra i Graziano e i Madonia. I Graziano perciò non hanno mai pagato il pizzo nei loro cantieri perché mio padre era socio loro”. Gli affari della cosca, descritti da Galatolo, vengono ricostruiti nel nuovo numero di “S”, in edicola da sabato e già acquistabile online.
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27 Dicembre 2014, 17:51