30 Luglio 2010, 07:32
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L’incontro con la nuova speranza del pugilato italiano avviene in una graziosa villetta di Contrada Isabella, qui dove alzi lo sguardo e ti ritrovi faccia a faccia con il monte Kronio.
È proprio qui a Sciacca che il talentuoso pugile sta passando le ferie estive a casa dei suoceri, Maria e Nino Sabella che ospitano Mouhamed Alì Ndiaye, la propria figlia Federica e Moussa, il bellissimo bambino di un anno che è nato dalla loro unione.
Una storia quella tra Alì e Federica che a Sciacca in pochi conoscono e che potrebbe essere etichettata come una favola moderna fatta da un campione di pugilato venuto dal continente nero che si innamora di una bella ragazza saccense e che grazie al matrimonio con la donna può diventare cittadino italiano e vincere il titolo nazionale dei medi, ma la storia di Alì e Federica non ha solo questa faccia: è una vita fatta da mille e più sfumature che intuisci solo quando guardi negli occhi di questo campione e di questa giovane mamma saccense che per stare insieme per un certo periodo di tempo hanno anche vissuto in una stamberga. Storia di integrazione, immigrazione, solidarietà e incontro di culture sulle note di tanti pugni, quelli che Alì ha dovuto sferrare fino alla consacrazione del 2004 a Maddaloni quando battendo per Ko alla 4° ripresa Andrea Di Luisa è riuscito a vincere il titolo di campione italiano.
Una vita da film quella di Alì, anzi lui una piccola parte nel film “Il bambino della domenica ” con Beppe Fiorello l’ ha già fatta, mentre una produzione Rai sarebbe intenzionata a girare prossimamente una fiction sulla sua vita.
Alì, senegalese di Pikine, piccolo centro vicino la capitale Dakar, di anni ne ha trentuno, fin da piccolissimo viene iniziato alla nobilissima arte della boxe dal padre Moussa, anche lui bravissimo pugile che però a causa delle difficoltà economiche del proprio paese non ha potuto tentare la strada del professionismo dovendo mantenere la numerosa famiglia come autista di pullman.
Alì è il primo di ben undici figli e tutti loro sanno tirare a pugni, come lui stesso dice sorridendo : “Anche le mie sorelle sanno menare”, ma Mouhamed Alì il primogenito, chiamato così in onore del grande mito, un tempo Cassius Clay, è un predestinato della boxe che riceverà perfino il battesimo direttamente dalle mani di colui che “vola come una farfalla e punge come un’ape”, un uomo e una leggenda.
Infatti, il padre Moussa non appena viene a conoscenza del fatto che il più grande pugile di tutti i tempi, Alì , sarà di passaggio a Dakar non esita con il rottame del suo vecchio pullman a mettersi in viaggio per raggiungere il grande simbolo di riscatto per milioni di africani.
Prima della storica esibizione contro un avversario locale allo stadio Ibamar Diop, Moussa porge il neonato al grande pugile che al centro del ring lo alza in alto e davanti ad una folla immensa lo consacra alla boxe annunciando che il piccolo partirà con lui per l’America per diventare un grande campione.
Solo il pianto interminabile della madre Cissè impedirà al piccolo Alì di partire con il suo padrino, ma lui crescerà lo stesso educato alla passione per i guantoni nell’improvvisata palestra ricavata da un granaio di una fattoria a Pikine.
Un’infanzia difficile quella di Alì, vissuta tra la miseria e dove spesso ha dovuto patire anche il terribile morso della fame, ma la voglia di riscatto, alimentata dal suo continuo darsi totalmente alla boxe sottoponendosi ad estenuanti allenamenti con un rudimentale punching-ball messo in cortile, vince su tutto.
Incontrerà il suo padre putativo, il grandissimo Alì, ancora una seconda volta in Senegal quando avrà dieci anni per rinnovare la promessa di diventare anche lui un grande.
Ed è così che cresciuto Alì è diventato un giovane pugile talentuoso, una speranza della boxe che però non può rimanere in Senegal dove i soldi che girano per questo sport sono davvero pochi e allora, decide di tentare fortuna in Europa lasciando il Senegal e raggiungendo la Francia.
Un viaggio verso la terra promessa per cercare di realizzare il suo sogno, ma le cose non vanno esattamente per il verso giusto e Parigi dove è ospite di un amico di infanzia.
Nella capitale francese si presenta presso la palestra dove è radunata la nazionale francese di boxe che si allena per le olimpiadi di Sidney e racconta a tutti la sua storia e qui trova comprensione e la promessa di un aiuto per ottenere il permesso di soggiorno e nel frattempo fa da sparring- partner, una grande occasione che gli permette di fare ai guanti con atleti di livello olimpionico e mondiale.
Tutte promesse al vento però perché il permesso non arriva e scadendo il visto turistico il “Piccolo Alì” diventa clandestino e decide di venire in Italia a cercare nuove fortune, dapprima a Brescia ma qui capisce che non c’è spazio per la boxe e infine, a Pontedera presso un cugino.
Pontedera in Toscana è non solo una città operosa, è anche la cittadina che ha dato i natali a Sandro e Guido Mazzinghi, due grandi campioni della boxe italiana e dove la febbre per la boxe è rimasta viva alimentata dallo spirito di emulazione di tanti ragazzi pronti a ricalcare le gesta di questi due miti con i guantoni.
Qui Alì, il pugile “predestinato”, irrompe nella palestra dell’Accademia Guido Mazzinghi e lascia tutti senza fiato con il suo straordinario talento, tutti si accorgono di avere davanti un vero e bravo boxeur, mentre Alì che non parla ancora bene l’italiano continua a ripetere: “Voglio combattere … io vinco”.
All’inizio però anche a Pontedera è dura, le pratiche per il permesso di soggiorno che i vertici della palestra si sono impegnati a fargli avere tardano ad arrivare e per mantenersi Alì inizia l’attività di “vù cumprà” per le spiagge e per le piazze: vende calzini e accendini la mattina, mentre il pomeriggio torna in palestra per indossare i guantoni e allenarsi.
“Quando andavo in spiaggia a Cecina a vendere con la mia bancarella di oggetti – racconta Alì – per ammazzare il tempo tra una magra vendita e l’altra, alle volte improvvisavo dei finti match contro altri ambulanti e spesso si creava tutto intorno una grande ressa di persone che guardavano incuriosite, ma tutto ciò non mi faceva quasi mai concludere dei grossi affari …”
Un momento difficile nel cammino di questo ragazzo che però non perde mai la speranza convinto che la sua vita consacrata alla boxe non può avere altra alternativa.
Ed è a questo punto che per lui arriva la svolta: su un treno per Firenze incontra Federica, giovane diciottenne in viaggio di ritorno per la Sicilia dopo aver trascorso un periodo dalla sorella in Toscana.
Un primo approccio tra i due, le avances, forse un po’ troppo da spocchioso di Alì che si pavoneggia per il suo fisico scolpito da anni di boxe, lo scambio reciproco dei numeri di telefono e l’amore sboccia … Poco tempo dopo i due già prospettano di sposarsi, Federica lascia Sciacca e si trasferisce a Pontedera e Alì per provvedere al sostentamento della sua dolce metà fa anche il giardiniere.
Comunicare ai propri genitori di essersi innamorata di un pugile di colore, non è impresa ardua per Federica : Nino e Maria sono gente aperta e disponibile e ben felice che la loro figlia abbia trovato l’amore della sua vita e nessun problema ad accogliere come un figlio il genero di colore immigrato cladestino e con la passione per i pugni nonostante i tanti pregiudizi che in un piccolo centro possono esistere.
“Federica ha sempre sognato l’Africa, è sempre stata attratta dalla magia di quella terra – dice la signora Maria, la mamma che nel frattempo porta in tavola un ottimo caffè – e così è stata accontentata dal Signore o da quello che loro chiamano Allah, sposando un uomo africano” .
Mentre Federica, ribattezzata Djara per la religione musulmana come quella del marito per quanto riguarda i pregiudizi sull’unione di una bianca e di un nero dice : “Si, capita che per strada io e mio marito abbiamo gli occhi puntati addosso, ma io credo che ci guardino in senso buono non per un dissenso di tipo razziale. Anche se da quando è nato Moussa la vera attrattiva adesso è lui …”.
In effetti, Moussa il loro bambino con quel faccino dai tratti per metà africani e per metà siculi e dalla pelle color oro è davvero “un birbantello” dal sorriso irresistibile.
Altre mete e altri obiettivi ora aspettano Alì che a settembre si prepara per altri incontri e altre sfide.
“ Il diciotto settembre mi aspetta un incontro in Sardegna per il premio intercontinentale WBO poi spero di arrivare al meglio ai mondiali e agli Europei”, racconta Alì che si fa più serio in volto denotando l’importanza che ha per lui la sua attività anche se in vacanza a Sciacca è difficile mantenere il ritmo dei duri allenamenti ai quali si sottopone giornalmente e soprattutto resistere ai deliziosi manicaretti preparati dalla suocera.
Federica presenzia spesso agli incontri del marito e talvolta finito l’incontro non esita nemmeno a fargli qualche critica individuando anche i colpi che secondo lei non vanno o impartendo dei consigli, infatti, si definisce una sorta di “wife- trainer”.
La boxe non solo sudore, fatica, rigore e sacrificio ha anche un lato ancora più duro fatto dai colpi che si ricevono e che Alì conosce bene : “Quando sono sul ring – racconta mi concentro e prego Allah affinché sia io a vincere, penso a mia moglie e a quello che ho passato prima per essere lì poi arriva il suono del gong e so perfettamente cosa fare”.
Bandito l’odio verso l’avversario però sul tappeto, il rispetto e le regole sono il fondamento della noble-art tanto che alla fine di ogni incontro si affaccia il mistero di un paradosso evidente del rito dello scambio di “effusioni” tra i due pugili che un momento prima se le suonavano di santa ragione: “Per me il rispetto è tutto – afferma Alì – non lo metto in pratica solo nella boxe ma in qualsiasi tipo di rapporto, tutti pensano che il pugilato sia uno sport violento, ma la boxe serve ad essere sicuro della tua forza e non ad essere violento nella vita”.
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30 Luglio 2010, 07:32