25 Marzo 2015, 17:56
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PALERMO- Il muro scrostato di un carcere. I bambini e le madri, fuori, oltre il portone di ferro. Il sole che acceca. Una rampa di scale, tra polvere e ruggine. Percorrendo le infinite strade di un istituto penitenziario, si capisce che non c’è difformità fra il dolore di un innocente e di un colpevole. Ma quanto fa male morire di innocenza e di coraggio, nel sole di un’estate siciliana, quando ogni cosa parla di vita? Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono morti così, per coraggio e innocenza.
Tra i muri scrostati del carcere Ucciardone di Palermo, si affrontano portoni e scale, prima di arrivare alla sala del teatro per la presentazione di “La guerra – una storia siciliana”: libro fotografico di Tony Gentile, l’autore della celebre posa di Falcone e Borsellino, quella dove si sussurrano qualcosa con affetto, mentre sorridono complici. Lo stesso Gentile ne racconta la genesi: “Era il marzo del 1992. Dovevo coprire un convegno. Falcone arrivò in ritardo e cominciò a parlottare con l’amico e collega. Scattai una serie di immagini. Tornai al ‘Giornale di Sicilia’. Il capo-redattore, Giuseppe Sottile mise gli occhi su quella foto in particolare: ‘E’ bellissima, tienila cara’. Dopo la strage di via D’Amelio, grazie alla memoria di Mike Palazzotto, un grande collega, la tirai fuori dal cassetto; così diventò un’icona dell’antimafia, delle associazioni, di tutti coloro che rialzavano la testa, per ribellarsi a Cosa nostra”.
Perché tanto successo? “Perché – ricorda Giuseppe Sottile, direttore di LiveSicilia – lì c’è tutta l’umanità dei giudici, in una città che li aveva sempre trattati con indifferenza. Le fotografie rappresentano una testimonianza diretta, senza filtri. La prospettiva cambia col cambiare del tempo. Nel libro di Gentile c’è pure un ritratto di Falcone in mezzo alla gente. All’epoca, nella sua contemporaneità, comunicava il senso della sfida alla mafia: il giudice con lo sguardo fiero, le braccia conserte, piantato sulle gambe. Ora lo rivediamo, soprattutto, come il certificato della solitudine di un uomo valoroso. Ed è la stessa istantanea”.
Quel convegno del marzo ’92 era stato organizzato da Giuseppe Ayala, magistrato in anni caldissimi, alle prese con la campagna elettorale. “Giovanni e Paolo parteciparono per darmi una mano – racconta -. Lo stesso Falcone mi aveva suggerito l’idea di preparare l’incontro. Erano amici veri. Dopo le elezioni, entrai nell’ufficio di Borsellino che, come è noto, era di simpatie politiche diverse dalle mie; dunque mi aveva avvertito: ‘Al convegno ci vengo, però il voto puoi scordartelo’. Lo trovai con una espressione curiosa, tra il preoccupato e il divertito. ‘Paolo, che è successo?’. ‘Niente. Nel segreto dell’urna, ho pensato: e se Peppino non sale per colpa mia? Insomma, ti ho votato’. Erano due persone con un senso straordinario dell’ironia, oltre al resto”.
Ed è proprio l’ironia, la capacità di sorridere nonostante l’ombra incombente della morte, che emerge dal passato in forma di album, dall’ultima primavera insieme di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Oggi, ci piacerebbe rivederli invecchiati, allo stesso tavolo, con la stessa complicità. Ma non possiamo annullare la storia di una foto e di una guerra, chiudendo un libro. Non possiamo risentire le voci di Giovanni e Paolo. Nemmeno sappiamo, in fondo, cosa si sussurrarono quel giorno.
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25 Marzo 2015, 17:56