Cronaca

Strage di via D’Amelio, indagato l’ex magistrato Gioacchino Natoli

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03 Luglio 2024, 11:19

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PALERMO – A trentadue anni dalla strage di via D’Amelio c’è un nuovo indagato. È l’ex pubblico ministero del pool antimafia di Palermo Gioacchino Natoli. La Procura di Caltanissetta ipotizza nei suoi confronti i reati di favoreggiamento alla mafia e calunnia. Natoli ha ricevuto un invito a comparire per essere interrogato.

Mafia e appalti

La vicenda riguarda un filone dell’inchiesta mafia-appalti, svolta nel capoluogo siciliano agli inizi degli anni ’90, che potrebbe essere il vero movente della strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.

A Natoli la Procura nissena guidata da Salvatore De Luca contesta di aver insabbiato l’indagine avviata dai pm di Massa Carrara e confluita nel procedimento mafia-appalti per favorire mafiosi, imprenditori e politici.

Natoli avrebbe agito in concorso con l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco, nel frattempo deceduto e definito dai pm “istigatore”, e con l’allora capitano della guardia di finanza Stefano Screpanti.

L’ex magistrato avrebbe aiutato i mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco e gli imprenditori Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini (gli ultimi tre al vertice del Gruppo Ferruzzi) ad eludere le indagini.

“Indagine apparente”

La Procura di Massa Carrara aveva aperto un fascicolo e trasmise le carte a Palermo sulle presunte infiltrazioni mafiose nelle cave toscane. I pm palermitani, secondo l’accusa, si limitarono ad avviare una “indagine apparente”, “richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini”.

Ed ancora, “d’intesa con l’ufficiale della guardia di Finanza Screpanti”, Natoli avrebbe fatto in modo “che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la ‘messa a disposizione’ di Di Fresco in favore di Bonura, nonché una concreta ipotesi di ‘aggiustamento’, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico di Bonura per un duplice omicidio”.

Natoli inoltre non avrebbe aperto alcuna indagine nei confronti degli imprenditori Luciano Laghi e Claudio Scarafia, “sebbene i due fossero risultati a completa disposizione di Bonura e dei suoi familiari” e avrebbe chiesto l’archiviazione del procedimento “senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura della Repubblica di Massa Carrara”.

Il giallo delle bobine

Infine, secondo la procura nissena, “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”. Si tratta di 190 bobine dimenticate per decenni e ripescate dai magistrati di Caltanissetta nei sotterranei del Palazzo di giustizia di Palermo. Contengono ore di intercettazioni e si intrecciano con il dossier “mafia e appalti” a cui lavorarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Le parole di Natoli

“Sono stato e sono un uomo delle istituzioni e ho piena fiducia nella giustizia. Darò senz’altro il mio contributo nell’accertamento della verità”, commenta Natoli che è stato anche presidente della Corte di appello di Palermo.

Quando venne fuori la storia delle bobine, di cui aveva anche parlato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino e marito di Lucia, uno dei figli del magistrato assassinato, Natoli chiese di essere sentito dalla Commissione parlamentare antimafia.

“Accuse false”, replicò a chi sosteneva di avere insabbiato l’indagine. “La nostra era una semplice indagine collegata, l’inchiesta principale è rimasta sempre a Massa”, spiegò. E la decisione di archivarla? “Il 26 marzo 1992 la finanza dà conto del contenuto delle intercettazioni scrivendo che ‘non hanno consentito di individuare episodi, circostanze o elementi che possano ricollegarsi ai fatti criminosi ipotizzati’.

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03 Luglio 2024, 11:19

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