15 Dicembre 2021, 12:24
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“Sono certo che la ritrattazione fatta da Vincenzo Scarantino fu verbalizzata. Scarantino disse che l’avevano indotto a collaborare. I magistrati erano sconcertati e amareggiati. Il dottor Petralia si mise quasi le mani ai capelli. Pensavano: ‘ma Scarantino ci aveva riferito cose che solo chi in qualche modo ha partecipato al fatto può conoscere. E quindi o gliele ha dette qualcuno oppure c’è qualcosa che non va’ “.
Lo ha detto Santino Carmelo Foresta, ex avvocato di Vincenzo Scarantino, deponendo oggi nel corso dell’udienza del processo sul depistaggio delle indagini sulla Strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta, in riferimento a un interrogatorio del 2 settembre del 1998. Accusatosi di aver partecipato all’attentato contro il giudice Paolo Borsellino, Scarantino viene arrestato il 29 settembre 1992. Dopo essere stato recluso nel carcere di massima sicurezza di Pianosa, decise di collaborare con gli inquirenti spiegando come venne organizzata la strage in cui morì il giudice Borsellino. Venne condannato a 18 anni e poi cominciò ad accusare poliziotti e magistrati. Nel 1998 Scarantino ritrattò tutto affermando di non avere preso parte all’attentato di via D’Amelio e di essere stato costretto da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo a confessare il falso, e di aver subito maltrattamenti durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa. Nel 2007 il pentito Gaspare Spatuzza ha confessato di essere stato l’autore del furto dell’auto Fiat 126 usata per l’attentato, scagionando Scarantino e dimostrando che era un falso pentito, usato per sviare le indagini sulla morte di Borsellino. “Quando Scarantino ritrattò i magistrati si posero il problema che sapeva delle cose che non poteva sapere se si era inventato tutto. Chiaramente quello che era accaduto non era del tutto normale. Durante l’interrogatorio – ha aggiunto il teste rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Scozzola – non ricordo se ci fossero state delle pause e non ricordo nemmeno se gli furono mostrate foto. Erano presenti i pm Francesco Paolo Giordano, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Dopo un po’ nel corso del suo interrogatorio ritrattò la sua stessa ritrattazione confermando quanto detto in precedenza”.
“Borsellino si recò a Roma al ministero dell’Interno e riferì che con una scusa venne accompagnato in una stanza in cui incontrò Bruno Contrada. Quest’ultimo era a conoscenza dell’inizio della collaborazione di Gaspare Mutolo. Borsellino lo percepì come un segnale preoccupante. Pensò che qualcuno dal ministero dell’Interno voleva fargli sapere che Contrada non era solo e c’erano loro dietro di lui. Questo lo appresi da Carmelo Canale e poi da Agnese Borsellino”. Lo ha detto l’avvocato Antonio Ingroia, chiamato oggi a deporre come teste nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta, che ha aggiunto: “”Nell’ultima fase della sua vita Paolo Borsellino teneva la porta del suo ufficio sempre chiusa. Il suo carattere era sempre stato allegro ed estroverso, a differenza di quello di Giovanni Falcone che era più riservato. Quindi era uno che aveva sempre tenuto la porta aperta con un viavai continuo di colleghi. Nell’ultimo periodo teneva sempre chiusa la porta. Mi disse che era per tutelare la sua riservatezza, perché chiunque passava vedeva con chi si incontrava. Non si fidava più. Ricordo – ha aggiunto Ingroia, rispondendo alle domande dell’avvocato Fabio Trizzino – che incontrandomi nella sua stanza mi disse di non dire a nessuno di una importante collaborazione che stava per arrivare. La prima volta non mi disse neanche il nome, ma che c’era un grosso pentito che si apprestava a collaborare e che a suo parere poteva fare luce su legami tra Cosa Nostra e altri ambienti. Mi chiese di non dirlo neanche a Roberto Scarpinato, perché quest’ultimo era uno con cui io parlavo”.
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