12 Febbraio 2015, 18:38
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CATANIA – La mattanza del mare non si ferma. L’eco della tragedia di Lampedusa, l’ennesima, ha scosso anche Catania. In questa città, crocevia del traffico di esseri umani, le tragedie marine sono conosciute bene. Questo porto, da nuova patria, molte volte (troppe) si è trasformato in un cimitero. I cadaveri alla Playa, le bare allineate al molo di mezzogiorno, i funerali al Palazzo Platamone sono la cartina di tornasole di quanto Catania sia protagonista in questa tragedia dalle proporzioni enormi. E qualcosa nel sistema non funziona. Ed è la cronaca a sancire questo triste verdetto: le morti che si sono susseguite, i cadaveri recuperati tra le onde, un’isola trasformata in camposanto di migranti.
Catania dal punto di vista investigativo è diventata un modello. Un modello europeo. Le operazioni condotte dalla Procura guidata da Giovanni Salvi hanno permesso di schiacciare organizzazioni criminali senza scrupoli. Dalle indagini sono emerse retroscena agghiaccianti, come i minori migranti segregati a San Berillo. Sequestrati, come topi in trappola. E il carico di lavoro della Dda di Catania, in grossi deficit di risorse umane e finanziarie, ha numeri da capogiro. “Catania ha dovuto affrontare i 2/3 dell’intero traffico di migranti via mare che interessa l’Italia” – spiega Salvi in un’intervista che apre importanti squarci di riflessione, non solo giudiziari.
Una nuova strage del mare.
Com’era facilmente prevedibile il passaggio da Mare Nostrum a Triton, cioè il passaggio dal soccorso in mare all’attesa prima dell’intervento, ha determinato una situazione di grave pericolo per i migranti. Le notizie che arrivano dall’indagine di Agrigento sono sconvolgenti: questi migranti sembra siano stati costretti con la violenza a salire sulle imbarcazioni nonostante le condizioni del mare e l’assoluta inadeguatezza delle barche.
Tanto è stato fatto, anche da questa Procura, ma forse sul fenomeno del traffico di esseri umani deve essere fatto di più?
Queste sono cose che non possono essere affrontate solo sotto il profilo penale come possiamo fare noi. Abbiamo un obbligo morale ma anche giuridico. Dal momento in cui la Libia non è in grado di coprire la SAR, cioè la zona di soccorso e ricerca in alto mare, è la comunità internazionale deve coprirla. Non è possibile lasciare una zona così rilevante di mare senza una continuativa opera di assistenza, di ricerca e soccorso.
Sul fenomeno criminale legato all’immigrazione Catania ha fatto moltissimo.
A Catania ci sarà un importante convegno organizzato da due associazioni di magistrati, ma che vedrà la partecipazione di funzionari, politici e investigatori. E’ un convegno un po’ diverso dagli altri, perché non è una passerella di persone più o meno competenti ma è l’espressione di due anni di lavoro che hanno visto Catania affrontare addirittura i 2/3 dell’intero traffico di migranti via mare. I 2/3 che è arrivato in Italia, è arrivato nel distretto di Catania. Quindi Ragusa, Siracusa e il porto di Catania.
Un lavoro difficile?
Questo ci ha portato a una sfida enorme. Se pensiamo che per l’Expò, un’emergenza molto modesta rispetto a questa, sono stati previsti a Milano incrementi di magistrati, di forze dell’ordine, che rimangono poi stabilmente, mentre qui non è stata prevista alcuna minima provvidenza per consentirci di fare il nostro lavoro con un minimo di adeguatezza; questo lascia comprendere che cosa abbiamo dovuto affrontare con le nostre forze.
Parlando di immigrazione, cosa possiamo dire sull’indagine relativa al Cara di Mineo?
E’ un argomento certamente delicato ma non posso andare nel merito delle indagini. Noi lavoravamo già su alcuni aspetti e abbiamo trovato degli elementi comuni con la Procura di Roma. Lo scambio di informazioni ha consentito sia a loro che a noi di fare dei passi avanti. Vedremo dove ci porteranno.
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12 Febbraio 2015, 18:38