Le stragi e Messina Denaro: "Quel pentito ci spieghi la verità"

Le stragi e Messina Denaro: “Quel pentito ci dica la verità”

I sospetti di un magistrato in prima linea sugli eccidi del '92 e sul latitante

PALERMO – Di sospetti è piena la storia giudiziaria legata alle stragi di mafia in cui furono massacrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. Specie quando di mezzo ci sono i collaboratori di giustizia. Se i sospetti arrivano da un magistrato che per anni è stato in prima linea è doveroso soffermarsi per valutarli con attenzione. Una riflessione accorata la sua, che riguarda i colleghi che hanno maneggiato e maneggiano le verità farlocche dei pentiti.

La deposizione

Il magistrato è Massimo Russo, oggi alla Procura per i minorenni di Palermo, per anni in servizio a Marsala, dove ha lavorato al fianco di Paolo Borsellino, e poi alla Direzione distrettuale antimafia palermitana. Russo ha deposto in un processo ad Agrigento che vedeva imputato un giornalista, Gian Joseph Morici, querelato dall’ex pentito Vincenzo Calcara che si è sentito diffamato dalla definizione di “falso” collaboratore di giustizia. Morici è stato assolto pochi giorni fa.

Il malacarne stragista

Per decenni si è dato credito a Vincenzo Scarantino, malacarne di borgata che sosteneva di avere avuto un ruolo nella strage di via D’Amelio. Strano, visto che nessuno lo conosceva. “Chi sei, ma chi ti conosce”, gli disse con tono sprezzante Salvatore Cancemi, il primo boss della cupola a diventare collaboratore di giustizia. A Caltanissetta è arrivato alle battute finali il processo sul depistaggio delle indagini su via Dì’Amelio che vede imputati dei poliziotti. La vicenda di Scarantino è sovrapponibile a quella di Calcara?

Ed ecco i sospetti di Russo che arriva alla Procura di Marsala nel novembre del ’91 quando l’ufficio è retto da Borsellino. Nello stesso mese Calcara si pente. Sono gli anni in cui si inizia a indagare sulla mafia trapanese, alleata dei corleonesi di Totò Riina.

“Qualcosa non torna”

Russo, seppure “giovane magistrato”, così racconta in aula, si rende conto che “c’è qualcosa che non torna”. Il pentimento del palermitano Balduccio Di Maggio fa emergere nomi di personaggi che “non erano stati mai indicati dai collaboratori locali”. Tra questi ultimi c’era Calcara. L’incipit della testimonianza di Russo è tranciate: “Di Calcara cominciamo a dire che non è uomo di onore e che nessuno lo conosce, ma proprio non lo conoscono. Sinacori, Patti, Sinacori, Bono, Milazzo, Ferro, Brusca e Siino però potremmo continuare”.

“Perché non parla subito del latitante?”

Calcara si pente, racconta i segreti della mafia trapanese ma “non ha fatto mai il nome di Messina Denaro Matteo… fino a quando poi non l’hanno fatto gli altri. Il primo che fa il nome di Messina Denaro Matteo nel ’93 è Balduccio Di Maggio. Di Messina Denaro Matteo non ne aveva parlato mai nessuno, avevano parlato del padre ma il padre era noto alle cronache dagli anni ’60″.

Ed ecco il primo affondo di Russo: “Le dichiarazioni di Calcara ancora oggi costituiscono un problema serio se vogliamo capire perché sono accadute certe cosa a Palermo e in provincia di Trapani”.

Le dichiarazioni di Di Maggio erano dirompenti, “noi avevamo per la prima volta la possibilità di disarticolare, e mi permetto di dire il risultato è stato raggiunto, l’organizzazione mafiosa in provincia di Trapani con le dichiarazioni, con le conoscenze, con il portato conoscitivo esperienziale di chi aveva ammazzato le persone, di chi aveva contributo a programmare le stragi a Firenze, a Roma e a Milano, e inseguivamo ancora il signor Calcara che nessuno conosceva”.

“Anticipa la notizia dell’attentato”

Non lo conoscevano “però diceva delle cose, come dire, intriganti; e questo è il tema. E le dice per un certo periodo; per esempio parla dell’attentato a Borsellino, anticipando di 8 mesi quello che sarebbe accaduto. Questa è la domanda alla quale ancora dobbiamo dare una risposta, a me la daranno i miei colleghi se ci riusciranno, ma se non si parte da lì forse molte cose non le capiremo”.

Russo aveva in precedenza avanzato il dubbio dei dubbi e cioè che le dichiarazioni di Calcara non fossero “farina del suo sacco o di qualche altro sacco che non è di farina.” Già Gabriele Paci, attuale procuratore di Trapani, nel corso del processo di Caltanissetta, dove è stato a lungo in servizio, che vedeva imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92, aveva definito Calcara un “inquinatore di pozzi”.

Il giallo del notaio

Russo aggiunge un tassello inedito: “Calcara ad un certo punto fa riferimento al notaio Albano, un professionista stimatissimo. Siamo nel ‘91-’92. Un soggetto che, per come abbiamo ricostruito successivamente, era certamente fuori dalle dimensioni relazionali del Calcara. Nel ‘93-’94 si pente Brusca e ci racconta del notaio Albano (Salvatore Albano, originario di Borgetto) che, credo su richiesta di Andreotti, portò il piatto d’argento o a Nino o a Ignazio Salvo, in occasione del matrimonio della figlia. Ma come faceva Calcara a parlare del notaio Albano due anni prima?”.

“Non ha nulla che fare con Cosa Nostra”

“Calcara, per quello che è la mia esperienza, non ha nulla a che vedere con Cosa Nostra. Ha fatto delle dichiarazioni che riguardano Cosa Nostra – racconta Russo – e che non abbia nulla che vedere lo dimostra il fatto che se uno si pente la prima persona di cui doveva parlare era Messina Denaro Matteo, oltre che di suo padre; c’è un crescendo nelle sue dichiarazioni, addirittura parla dell’attentato al Papa, il punto è capire chi è che ha messo questa farina nel sacco, tanto più che proprio nel ’91 a Castelvetrano si tengono le riunioni che metteranno in fibrillazione il nostro paese nel 92 e ’93. Quindi se uno mette in sequenza questi fatti bisognerebbe forse ricominciare da lì per comprendere, a cominciare dalle notizie sull’attentato a Borsellino. In realtà forse dovrebbe pentirsi ora Calcara e spiegarci come stanno veramente le cose”.

Le lettere di Messina Denaro

Si parte da Calcara e si arriva a Messina Denaro e alle stragi, passando per l’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino, deceduto l’anno scorso, che tenne un carteggio con il latitante a firma “Svetonio” e “Alessio”: “Il contenuto ideologico delle lettere nella relazione Vaccarino-Alessio, è totalmente diverso. Il contenuto, il periodare, la scrittura, la punteggiatura, i riferimenti, lo stile, diversi da quello che Alessio scrive a Provenzano. E siccome erano i servizi segreti che gestivano questa vicenda, forse è quella la direzione nella quale muoversi per capire quello che costituisce il mistero di Messina Denaro Matteo: le lettere”.

Russo indica una strada per le indagini sulle stragi di mafia. Una strada che dovrebbe partire dalla rivisitazione critica delle testimonianze di Vincenzo Calcara, alla stregua di quanto è stato fatto, seppure a decenni di distanza dall’inizio della sua collaborazione, con Vincenzo Scarantino, il malacarne di borgata che ‘vestirono’ da boss stragista.


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