“Su quella strada dannata | i ragazzi muoiono ancora”

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06 Gennaio 2010, 00:03

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“Ancora voglio capire com’è successo, perché è successo. Ancora, dopo due anni, aspetto giustizia”. A quasi due anni di distanza dalla tragica morte del figlio Salvo, travolto da una Bmw in via Mattei (nella zona di via dell’Olimpo) mentre era a bordo del motorino con la sua ragazza, Fortunato Gebbia non riesce a darsi pace. Ha sempre in testa quel pensiero lì. Martellante. Perché è successo? Perché è successo, quando si poteva evitare? Quando si poteva evitare che la vita di Salvuccio venisse stroncata ad appena 16 anni. E perché, da allora, niente di concreto è stato fatto per risparmiare ad altri ragazzi e alle loro famiglie la stessa, triste, sorte? Una sorte che a Capodanno è toccata a Debora Filocco, 17 anni, l’ennesima vittima di via dell’Olimpo, a un passo da via Mattei nel “triangolo della morte”, lì dove a ogni passo incontri una lapide. Dove si ravviva il dolore di chi sull’asfalto ha perso un figlio per colpe non sue.

Signor Gebbia, a Capodanno c’è stata un’altra vittima in via dell’Olimpo.
“Onestamente sono molto deluso per questa situazione perché ho lottato talmente tanto e, malgrado ciò, non si è arrivati ad alcun risultato. Ogni volta che muore un ragazzo, il dolore diventa sempre più acuto, perché pensi che ci sono altri due genitori che soffrono come te. Un conto è parlare di una vittima per una fatalità, un altro è quando si tratta di qualcosa che si poteva evitare. Se prendessero dei provvedimenti contro tutti quelli che passano col rosso ai semafori e che guidano in modo spericolato, certe tragedie non succederebbero. Ogni mattina, prima di andare al lavoro, vado in via Mattei per salutare mio figlio. E sistematicamente, ogni mattina, tutti corrono e sono ubriachi”.

Cosa si sente di dire ai genitori di Debora?
“Sono dei poveri genitori sfortunati come me e mia moglie, mi sento vicino a loro perché il nostro è un dolore congiunto. Oggi Debora è un altro angelo in cielo che ha raggiunto mio figlio. I ragazzi vogliono vivere, ma siamo noi che li dobbiamo far vivere bene. Il modo in cui è morto Salvo non lo accetterò mai: andava con la ragazza a mangiare un panino, quando gli è arrivata addosso una Bmw che ce lo ha portato via. Come posso accettarlo? Non è giusto né per me né per tutti gli altri genitori”.

In questi due anni, il Comune di Palermo ha fatto qualcosa per limitare questo tragico fenomeno?
“La morte di mio figlio non è colpa del Comune, ma di chi era alla guida della macchina che lo ha investito. Per gli altri ragazzi rimasti sull’asfalto in questi due anni, invece, sì,  è colpa del Comune che non è intervenuto. Dove sono gli autovelox che avevano promesso dopo la morte di mio figlio? In via Mattei erano stati messi dei dissuasori di velocità, che adesso però sono saltati e nessuno è intervenuto per ripristinarli, mentre si continua a morire. Sono morti tanti ragazzi, persone che Salvo conosceva, come Benny e Giuseppe. Con gli interventi giusti, tante vittime non ci sarebbero stati”.

Il ragazzo che ha investito suo figlio è mai venuto da voi?
“No, non è mai venuto. Non ci può essere perdono. Noi siamo umani, siamo fatti di carne, a perdonare può essere solo il Signore”.

Lei dice di volere giustizia.
“”n ogni incidente c’è sempre un colpevole. E io spero che chi ha investito mio figlio venga condannato. A chi sbaglia dovremmo togliere la patente a vita, perché non si può aspettare che ne ammazzi un altro. Quante volte al telegiornale sentiamo parlare di automobilisti che ne ammazzano due-tre e rimangono in libertà come se non fosse successo niente?”.

Che cosa possono fare i comuni cittadini?
“I cittadini dovrebbero responsabilizzarsi, essere accorti nella guida: se tutti stessimo attenti non faremmo male agli altri. Palermo è diventata troppo pericolosa, c’è troppa gente che non sa guidare. Dietro lo Zen, sulla strada che porta all’Oasi verde, per esempio, in corrispondenza dei semafori ci sono due tratti che sono pericolosissimi. In quei punti se arriva una macchina non si vede. Non hai il tempo di accorgertene. Devi stare attento agli altri che ti fanno male. Io ricordo sempre quello che diceva Salvuccio a mia moglie: ‘Mamma, ma io col Free non posso correre così tanto’. E lei gli rispondeva: ‘Io non ho paura di te, ho paura degli altri’. E oggi a noi che cosa rimane? Casa mia ormai è un museo, dove in ogni angolo c’è un ricordo di Salvo”.

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06 Gennaio 2010, 00:03

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