09 Agosto 2009, 16:08
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Ci sono due o tre cose che so sul Sud e in particolare sulla Sicilia (per via dell’edizione regionale di MF) che appaiono di particolare attualità nel mentre si sta discutendo di una nuova banca per il Mezzogiorno e nel momento nel quale, in particolare sull’isola, stanno arrivando svariati miliardi di finanziamenti. Un’occasione per aprire un dibattito concreto e immediato come di fatto chiede anche il ministro Giulio Tremonti. La prima cosa riguarda una legge sciagurata che il parlamento regionale (Ars) ha approvato sulla scia della legge Bassanini (un’ottima legge) per il trasferimento di molti poteri alla struttura burocratica dei vari assessorati. Franco Bassanini, prima di entrare in politica, è stato un ottimo professore di diritto costituzionale e durante il suo periodo come ministro della pubblica amministrazione è riuscito, per il governo nazionale, a varare una legge che, oltre alla possibilità dello spoil system, ha trasferito molto potere alla burocrazia onde garantire la continuità gestionale e non disperdere le conoscenze al cambiamento dei governi. Con solerzia encomiabile anche l’Ars ha approvato una legge simile, ma assai più radicale: tutti i poteri di firma ai direttori generali degli assessorati. Con in più una decisiva mancanza. Mentre alla legge Bassanini è seguito un regolamento di attuazione che ha specificato in dettaglio compiti, doveri e diritti della burocrazia ministeriale, in Sicilia di questo regolamento non vi è traccia. Per un motivo molto semplice ancorché paradossale. I politici hanno pensato di cogliere questa occasione di trasferimento dei poteri soprattutto per scaricarsi di ogni responsabilità, visto che non firmando hanno pensato di sottrarsi al rischio di indagine e incriminazione da parte della magistratura. Ma anche i direttori generali e i dirigenti degli assessorati tengono famiglia e quindi, non essendo fessi, tendono a esasperare l’esame delle pratiche prima di apporre la loro firma e anzi molto spesso a lasciarle morire di inedia non firmando. Ecco, il primo male della Sicilia è proprio questo: tempi esasperanti, rinvii continui, cavillosità insensate. Così il tempo passa, le risorse ingenti stanziate dall’Ue e dal governo nazionale vengono di fatto vanificate non tenendo conto che il tempo è denaro; i finanziamenti finiscono per essere polverizzati e non soltanto per alimentare le clientele. Gli imprenditori che si orientano a investire nell’isola ben presto si accorgono che non è possibile stabilire tempi ragionevoli di attuazione dei piani di investimento. Conosco bene il caso di Rocco Forte, che per realizzare il bellissimo albergo a Verdura, vicino a Sciacca, con importanti campi da golf, ha dovuto superare un percorso a ostacoli dove è comparsa inevitabilmente anche l’opposizione degli ambientalisti, perché la Sicilia è paradossale anche in questo senso: dopo gli scempi dei decenni passati oggi è la regione con il più ampio territorio vincolato a riserve. La classica chiusura delle stalle quando i buoi sono già scappati, ma di più poiché tutte le riserve costituite dovrebbero avere un direttore generale e un piano di scopo visto che non dovrebbe essere possibile sostenere che bellezze ambientali uniche rimangano abbandonate al degrado del tempo senza che si faccia niente per conservarle effettivamente e farle godere ai siciliani e ai milioni di turisti che sarebbero pronti a passare le loro vacanze nell’isola. Ci sono parti della Sicilia stupende che potrebbero essere valorizzate nel rispetto pieno della natura (lo dico per scienza diretta) come per esempio la Riserva dello Stagnone, vicino a Trapani, che comprende l’Isolalonga e l’Isola di Mozia: per anni non è stato nominato il direttore che preparasse il piano di scopo; quando è stato nominato è stato subito contestato e bloccato con ricorsi al Tar. Isolalonga, dove ci sono alcune migliaia di metri quadrati di edifici straordinari, ex mulini per la macina del sale delle bellissime saline che occupano gran parte dell’isola, che stanno cadendo a pezzi: si preferisce il degrado più completo piuttosto che il restauro e la possibilità della fruizione nel rispetto della natura. Adrian Zecha, il fondatore del network più bello al mondo, gli Aman resort, era pronto a realizzarvi uno dei suoi resort gioiello. Ha chiesto quando poteva cominciare il restauro: nessuno ha potuto indicargli dei tempi. Avendo 70 anni e volendo vedere realizzati i suoi progetti, si è diretto in Marocco, dove, a Marrakech, ha realizzato il suo resort più bello in un anno e mezzo. Idem all’Isola di Levanzo, il gioiello delle Egadi: lì c’è l’ex proprietà Florio che cade a pezzi: il piano paesistico è fermo da cinque anni. Ed è il blocco totale salvo tollerare lo strisciante sorgere di baracche e baracchette. Non è cattiva volontà: è la cultura del non fare o fare sciupando tutto, per corruzione. Il colpo di grazia, in ritmi esasperanti da secoli, è stato dato appunto dalla sciagurata legge imitazione della Bassanini. Ma perché i politici hanno deliberatamente rinunciato al potere di firma e gli alti burocrati o firmano dopo anni o non firmano? Appunto per il timore di essere inquisiti. E qui si apre un capitolo (la seconda cosa) che affonda le sue radici nella piaga secolare dell’isola, la signora Mafia. La delinquenza organizzata ha così avviluppato come una piovra tutta l’isola fin dal sorgere della prima ricchezza, databile a quando l’ammiragliato inglese scoprì che gli agrumi siciliani erano provvidenziali per combattere lo scorbuto e quindi cominciò uno straordinario flusso di esportazione immediatamente intercettato dalla Mafia, che oggi si sono sovvertiti giustificatamente i principi di uno stato liberale. Oggi, inevitabilmente, in Sicilia tutti i cittadini sono sospettati e non come in uno stato liberale dove per definizione i cittadini sono onesti fino a prova contraria. La logica del sospetto è diventata l’effetto perverso della lotta alla Mafia, assolutamente comprensibile anche per le vite che la magistratura e gli inquirenti hanno dovuto sacrificare. E anche perché nell’isola domina un’altra logica: quella dell’insinuazione nei confronti di chi fa. In una regione nota per l’omertà, il tentativo di gettare sospetto sull’avversario o comunque su chi fa è uno sport molto praticato. Ecco perché i politici (anche tutti quelli onesti) si sentono legittimati a rinunciare al loro ruolo operativo e perché gli alti, ma anche i bassi, burocrati trovano tutelante la loro scelta di non procedere e di non firmare. Da qui, se non la paralisi, certamente tempi esasperanti che scoraggiano gli imprenditori dal varare progetti fondamentali per lo sviluppo e la messa a frutto dei finanziamenti ingenti dell’Ue (e quasi sicuramente finiranno nel 2013, almeno con le regole delle zone più sottosviluppate e quindi incentivazioni assai più basse del 50% attuale). Per la verità, c’è stato un momento in cui sembrava che l’isola stesse decollando: sono stati gli anni migliori del governatorato di Salvatore Cuffaro, quando sotto la guida di Forza Italia da parte di Gianfranco Miccichè il centro-destra fece l’en plain con 61 deputati nazionali su 61. Per un attimo il fervore sembrò contagiare l’isola. Partendo dal successo del vino siciliano nel mondo, concependo le possibilità di sviluppo in tre direzioni: agricoltura di qualità, biotecnologie e turismo, valorizzando cioè le risorse inesauribili della Sicilia, alcuni importanti investimenti, come appunto quello di Rocco Forte o di Nh (a Donnafugata), sono potuti partire. Ma l’incriminazione di Cuffaro per un’improbabile concorso esterno (volontario) in attività mafiosa ha bloccato di fatto l’attività del governatore e per un anno e mezzo, fino alle dimissioni e alle nuove elezioni, quell’energia che sembrava essere nata è caduta. C’è stata poi l’elezione dell’attuale governatore, Raffaele Lombardo, e della prima sua giunta in cui sono prevalsi i conflitti con l’Udc di Cuffaro e quelli all’interno del Pdl, che sono proprio all’origine della decisione di Silvio Berlusconi di dare più fondi al Sud e di Tremonti di far nascere con il concorso delle banche cooperative una banca per il Sud. Due decisioni encomiabili ma che non porteranno a nulla se non si interverrà alla radice, obbligando i politici a riprendersi i loro doveri e i burocrati ad avere il coraggio di firmare. Un obiettivo anche possibile sul piano politico se solo si decidesse di chiedere a Bassanini una consulenza per la riforma della legge, ma che impone anche di ritornare ai principi liberali secondo cui tutti i cittadini (anche i politici e i burocrati) sono onesti almeno fino a prova contraria. Ciò fa capire che un punto chiave è quindi una sorta di patto con la magistratura, aiutandola nei suoi compiti fondamentali ma anche chiedendole una sorta di patto per lo sviluppo, senza il quale non sarà possibile sconfiggere mai la Mafia. Ha sostenuto l’ex procuratore antimafia, Pier Luigi Vigna, che in Sicilia c’è la Mafia, in Puglia la Sacra corona unita, in Calabria la ‘Ndrangheta, in Campania la Camorra; in Toscana (dove lui vive), in Lombardia ecc. le organizzazione malavitose ci sono tutte. Ma con una differenza: il loro potere non è avviluppante perché i cittadini sono le prime sentinelle contro di loro; ma non come accade in Sicilia con lettere anonime o lanciando sospetti, denunciano con nome e cognome che cosa hanno visto di irregolare. Se si tenesse conto di questa acuta analisi dopo molti anni di lotta alle mafie, anche un patto fra ceto produttivo, ceto politico, ceto burocratico e magistratura potrebbe essere possibile. Come? Facendo in modo che la magistratura non debba considerare produttori, politici e burocrati tutti sospetti. Ma come si può ottenere questo risultato? Estendendo l’idea che ha avuto Lombardo di coinvolgere direttamente uomini equilibrati della magistratura, insospettabili agli occhi dei colleghi, nella gestione diretta della regione. In altre parole, vari assessori o direttori generali degli assessorati provenienti dalla magistratura. Ma dalla magistratura sana poiché più che in altre zone d’Italia, anche la magistratura in Sicilia ha non poche pecore nere. Se non si crea un patto fra i poteri istituzionali e quelli produttivi i soldi che arriveranno in Sicilia faranno la fine, Onorevole presidente del consiglio e Onorevole ministro dell’economia, di quelli (non pochi) che finora sono stati iniettati. Invece di promuovere lo sviluppo saranno alimentate le clientele e la corruzione. E la Mafia non sarà estirpata. Mi rendo conto che sono, le mie, un’idea e una proposta modesta, ma l’aver raccontato le due o tre cose che so sul Sud e la Sicilia ha lo scopo di aprire su MF e su ItaliaOggi un dibattito breve e concreto perché altri soldi pubblici non siano sprecati senza alcun risultato, mentre la Sicilia, come fu lo slogan della edizione regionale di questo giornale, potrebbe ancora tornare a essere un continente in decollo, tante e di altissima qualità sono le sue risorse e tanto alto è l’amore che gente di tutte le regioni e di tutto il mondo ha per questa terra fortunata e sfortunata allo stesso tempo.
(Pubblicato su Mf e Italia Oggi l’8 agosto 2009)
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09 Agosto 2009, 16:08