23 Novembre 2016, 17:41
2 min di lettura
PALERMO – Pasquale Di Salvo aveva la benedizione dell’anziano capomafia di Bagheria, Pino Scaduto. Che del neo pentito diceva: “Dignità ne ha trentatremila volte più di lui”, e cioè di qualcuno che a Di Salvo rimproverava il ‘peccato originale’ di avere indossato la divisa.
Il nuovo collaboratore di giustizia era stato un poliziotto e aveva lavorato nella scorta di Giovanni Falcone. “Una disgrazia”, la definiva Scaduto durante un colloquio intercettato in carcere, ma “dopo se n’è accorto e si è spogliato… è onesto al cento per cento questo te lo posso dire io…”. . Un altro pentito del clan bagherese, Salvatore Sollima, era tra quelli che mal digerivano il passato in divisa di Di Salvo. E lo aveva detto a Giampiero Pitarresi, in carcere con l’accusa di essere stato l’ultimo reggente della mafia di Bagheria: “Faceva la scorta a Falcone… come fa Testa a mettersi a una persona del genere accanto”.
Di Salvo si era fatto ben volere. Era un semplice soldato, alle dipendenze del capo decina Carmelo D’Amico e del capo famiglia Nicolò Testa, ma con mansioni delicate, come le comunicazioni fra gli affiliati e le estorsioni ai danni dei commercianti. In cuor suo, e in gran segreto, il neo pentito sperava di fare il salto di qualità. Quando si sparse la notizia di una possibile scarcerazione di Scaduto era pronto ad affiancare il suo vecchio capo per mettere alla porta coloro che avevano gestito il territorio in maniera morbida.
E così se da un lato la notizia del pentimento di Sollima, siamo nell’aprile del 2015, era stata accolta con paura per le possibili conseguenze; dall’altro, era stata vista come l’occasione per un repulisti generale. Una cosa è certa, Di Salvo ha più volte dato dimostrazione di avere ricevuto la soffiate degli imminenti blitz. Per ultimo quello in cui lui stesso sarebbe stato arrestato: “… per ora sono un po’ messo in disparte, perché ho un brutto presentimento… sto aspettando questa risposta dell’Albania, perché se arriva, così mi allontano un poco… perché per ora sono puntati tutti su di me… io per loro sono stato una sorpresa… minchia sono accaniti come i cornuti”.
Cosa può raccontare Di Salvo che gli investigatori ancora non conoscono? Innanzitutto gli interessi di Cosa nostra nell’affare dei rifiuti. Dal pizzo imposto alle imprese che lavorano per conto dei Comuni in provincia di Palermo alle infiltrazioni nelle commesse. E poi conosce i segreti dei clan di Bagheria e Porta Nuova. C’era anche lui ad un summit convocato quando si seppe del blitz di dicembre. “Tutti quelli di Villabate…. picciotti di Palermo, di Ficarazzi… da tutte le parti” sarebbero finiti in carcere. E così, per correre ai ripari, i clan convocarono una riunione. Qualcuno, che Di Salvo citava con il solo nome di battesimo “Gregorio”, aveva ottenuto “carta bianca… in assenza di loro poteva fare tutto quello che ci pareva e piaceva…e quello tutte cose ha fatto…”.
Pubblicato il
23 Novembre 2016, 17:41