06 Marzo 2016, 15:30
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PALERMO – Emanuele ha 3 anni ed è affetto dalla rarissima sindrome di Bakarat, che conta poche decine di casi in tutto il mondo: una malattia che comporta sordità, disfunzione renale e ipoparatiroidismo. Sua sorella, Andrea, di anni ne ha 6 ed è audiolesa. Una vita difficile per due bambini e ancora più per la loro mamma Giuseppa, 32 anni, che alle difficoltà della vita, dallo scorso dicembre, aggiunge anche quelle causate dalle istituzioni.
Andrea ed Emanuele, infatti, non hanno soltanto bisogno di andare a scuola al mattino, ma devono anche fare i conti con uno sviluppo del linguaggio e del corpo che va a rilento rispetto ai propri coetanei e che quindi necessiterebbe di terapie specifiche da fare il pomeriggio. Ma da dicembre, per l’appunto, le attività pomeridiane svolte dal centro diurno Padre Annibale Maria di Francia, di via Castellana, sono state sospese a causa dei tagli dell’ex Provincia di Palermo.
Uno stop che ha gettato nello sconforto e nella disperazione le 110 famiglie, tutte in difficoltà economiche, che si rivolgevano al centro guidato dai Rogazionisti. Una realtà che opera nel capoluogo da più d 50 anni e da cui sono passati circa 700 ragazze e ragazzi, che offre assistenza ai meno fortunati anche quando sono diventati adulti, tenta di insegnare loro un mestiere e li aiuta a condurre una vita normale.
Ma Palazzo Comitini, alle prese con ristrettezze economiche e tagli regionali, ha finanziato per il momento solo i servizi mattutini a scuola a scapito di quelli da svolgere nel pomeriggio. “Da due mesi i miei figli restano a casa perché io non posso permettermi una macchina – dice però Giuseppa – gli operatori del centro si occupavano di portarli a scuola la mattina, poi a pranzo mangiavano al centro e stavano lì fino al pomeriggio inoltrato per lo sviluppo del linguaggio e quello motorio. Adesso non sappiamo come fare”. Una situazione di disagio che influisce negativamente sulla vita dei più piccoli e meno fortunati. “Mia figlia va in prima elementare, non facendo le terapie resterà indietro rispetto agli altri e già oggi ha difficoltà a farsi capire dai compagni di scuola. Inoltre non andando a scuola rende inutile anche la presenza degli assistenti, il che è uno spreco di denaro. Noi abbiamo i nostri problemi e la società non ci aiuta: sono bambini, mica numeri”.
Un malessere comune a molte famiglie. Maria Concetta è sorda, ha 36 anni e frequenta il centro di via Castellana da quando ne aveva 5. Oggi ha due figli, Vincenzo di 16 e Francesca di 12 anni, tutti e due sordi: di pomeriggio svolgevano diverse attività, come l’arte terapia e lo sviluppo del linguaggio, ma ora è pronta a emigrare: “In Sicilia non ci sono centri come questo, sarò costretta a trasferirmi a Roma. Non ho alternative”.
Luigi ha 12 anni e soffre della sindrome di Franceschetti che comporta sordità, problemi respiratori e un ritardo mentale. Anche lui frequentava il centro, anche lui oggi rimane a casa. “Sono rovinata – dice la mamma Elisabetta, 32 anni – va in seconda media, ma mio figlio ha problemi psicologici. Per lui stare con i compagni era uno svago, adesso non abbiamo alternative. Lo Stato denuncia i genitori se non mandano a scuola i figli, ma nessuno fa niente se lo Stato non ti consente di portarceli. Il mio Isee è zero, chiediamo soltanto che i diritti dei nostri figli vengano rispettati. Non è giusto far chiudere la struttura e siamo pronti a ricorrere al Tar”. “Portare ogni giorno mio figlio a scuola mi costa 20 euro di benzina perché abito a Bagheria – racconta Saverio, 29 anni, sordo grave e padre di Francesco, 11 anni, anche lui sordo – e sono pure disoccupato”. “Al Padre Annibale Maria di Francia non pagavo nulla – spiega Daniela, 34 anni e mamma di Salvatore, 5 anni, sordo – l’unica alternativa è spendere 40 euro per una seduta di mezz’ora o attendere liste infinite. Come si fa?”.
Maurizio ha 45 anni, sordo grave, e frequenta via Castellana da 40 anni: una seconda famiglia, in pratica, in cui vorrebbe far crescere anche i suoi figli, Giuseppe di 10 e Giorgia di 5, entrambi audiolesi. “Io sto diventando pazzo – dice Maurizio, in preda alla collera e alla disperazione – lavoro saltuariamente e ho difficoltà a portare i bambini a scuola. Perché nel resto d’Italia questi centri funzionano e a Palermo devono chiudere? Siamo cittadini di serie B? Ci sono due Italie diverse? Io non posso aiutarli a fare i compiti, ma non posso nemmeno abbandonarli. Perché si permette tutto questo?”. Una rabbia che si trasforma in sorriso solo di fronte al piccolo Giuseppe, che con la manina saluta chi incontra e regala a tutti un sorriso.
Francesco, che di anni ne ha 36, frequenta il centro da 20 anni, lo stesso in cui mandava Sara, di 4, e la piccola Vanessa di appena 2. “Qui pagano la refezione scolastica per i miei figli, mi danno anche i libri. Adesso dove li porto?”, domanda sconsolato.
Storie di ordinaria disperazione che hanno tutte come teatro il centro di via Castellana, una struttura da 3.500 metri quadrati con 3 ettari di terreno, un punto di riferimento per l’intero quartiere, diretto da Padre Mario Lucarelli, ma in cui lavorano sempre meno operatori, licenziati per via dei tagli. Chi frequenta il centro e ha problemi economici, infatti, non paga nulla: è l’ex Provincia che in teoria dovrebbe elargire le rette da 18 euro al giorno per le attività extrascolastiche e 34 per il semiconvitto per appena 160 giornate, molte meno di quelle previste dall’anno scolastico. In totale appena 500 mila euro l’anno che farebbero tornare il sorriso sui volti di bambini neurosensoriali sordi e spesso affetti anche da altre patologie. Stessa situazione riguarda gli 80 bambini ciechi dell’istituto Florio e Salomone.
“Si tratta di attività extracurricolari, abbiamo assicurato l’assistenza mattutina ai ragazzi ma abbiamo dovuto limitare le spese e in questo caso abbiamo sospeso quelle pomeridiane – spiega il commissario della Città metropolitana Manlio Munafò – A Ragusa hanno addirittura sospeso tutto, due commissari delle altre ex province si sono addirittura dimessi. Le nostre spese sono tantissime, vedremo cosa c’è in Finanziaria ma il nostro non è un problema irrilevante, avremmo bisogno di circa 40 milioni di euro per tornare ad avere i conti a posto. Il problema è dei mancati trasferimenti, regionali e soprattutto statali, per non parlare del prelievo per la finanza pubblica che nel 2016 vale quasi 40 milioni. Ho detto alle famiglie e ai sindacati che le competenze vanno spostate ad altri enti che possano farvi fronte”.
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06 Marzo 2016, 15:30