18 Maggio 2014, 10:56
1 min di lettura
PALERMO – “Ca poi quannu siti beddi granni, ‘sti cunti li cuntati vuatri”. La tradizione che si tramanda, il racconto come spirituale vincolo tra generazioni e secoli tra loro diversi, ma contigui. Questa la metafora di “Talekiticuntu”, un inedito e riuscito affresco di una Sicilia tramandata di padre in figlio mediante l’ausilio di sei racconti, tratti da alcune novelle di Giuseppe Pitrè, in cui un viscerale bisogno di fantasia si interseca con un sostrato di verità necessaria per dipingere una terra ricca di contraddizioni, di differenze e di somiglianze tra il proprio passato e il proprio presente.
Ed è proprio da questo mix che possono nascere i presupposti per affacciarsi al futuro con speranza, senza il timore di costringerlo ad esser orfano delle nostre origini. Basterà un “cuntu” e quell’insieme di valori e riti ereditato dalla tradizione tornerà vivido alle nostre memorie. Un phàrmakon, un antidoto per non soccombere nella folle rincorsa del domani che rischia di spegnere la memoria.
Un messaggio ben preciso, quello che ha voluto imprimere il regista Giovanni Marchione, assecondato nelle proprie scelte dalla positiva e coinvolgente interpretazione delle attrici Fabiola Arculeo e Maria Angela Sagona, abili a non perdere mai il contatto visivo con lo spettatore, peraltro direttamente coinvolto dalle due protagoniste con sagacia e un pizzico d’ironia.
Un modo per rivivere a colori un mondo di ricordi in bianco e nero, che risuona come responsabile monito per le nuove generazioni, ma anche per quelle figlie d’altri tempi, affinché non si perdano nel grigio dell’omologazione: questo, in estrema sintesi, “Talekiticuntu”.
Pubblicato il
18 Maggio 2014, 10:56