Politica

“Tamponi, ospedali, Dpcm: ecco cosa stiamo facendo in Sicilia”

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27 Ottobre 2020, 16:12

9 min di lettura

PALERMO – Tamponi disponibili a breve anche in farmacia, dai medici di base e dai pediatri, le ultime sull’attività dell’Imi, ma anche un impegno personale a capire cosa accade quando un malato oncologico deve presentare l’esito di un tampone per accedere alle terapie. Questo e tanto altro è emerso dalla nostra diretta Facebook con l’assessore alla Salute, Ruggero Razza, che ha risposto alle domande dei lettori e del direttore Salvo Toscano. Nei giorni scorsi abbiamo chiesto proprio a voi di inviarci dubbi e perplessità sull’emergenza sanitaria, e li abbiamo sottoposti all’esponente del governo Musumeci: ecco com’è andata.

I tamponi

Uno dei temi ricorrenti riguarda i tamponi: Giovanni, un lettore, chiede perché non provvedere a fare i tamponi rapidi sia in farmacia sia dai medici di base, su base gratuita, come in altre regioni.

“Il tema è da sempre centrale. Da principio si poteva accertare il Covid solo tramite tampone molecolare, che estrae l’Rna, di difficile reperimento in tutta Italia. Oggi la situazione è sostanzialmente diversa, intanto perché sono cresciuti i numeri in Italia e in Sicilia, dove siamo passati da due laboratori accreditati a oltre venti fra pubblici e privati, con prezzi imposti. Il penultimo Dpcm ha autorizzato i tamponi rapidi e la Sicilia è stata la seconda Regione a rispondere “presente” e la prima Regione a dotarsi di una commessa importante: quasi due milioni di test. Stiamo lavorando alla possibilità di avere i tamponi gratuiti per tutti, come già avviene nelle carceri o per le forze di polizia. Il ministro della Salute Roberto Speranza sta firmando una convenzione con farmacie e medici di medicina generale, e noi recupereremo questa convenzione. Questi non saranno gratuiti, ma va detto che tutto quello che è in carico alla Regione non stiamo guardando l’aspetto economico. Lo dimostrano anche le migliaia di assunzioni nel sistema sanitario”.

Covid e malati oncologici

Benny racconta che a sua madre è stato diagnosticato un cancro. Per poter accedere alle terapie le è stato chiesto l’esito di un tampone negativo da effettuare in autonomia. Ritiene giuste queste modalità riservate ai pazienti oncologici?

“Si tratta di una cosa delicata, di cui ognuno di noi ha esperienza in famiglia e nella vita. La regola generale è che tutti i pazienti oncologici siano esentati dal ticket, quindi è giusto chiedere il tampone ma non dovrebbe essere pagato. Mi impegno personalmente in questa verifica”.

I numeri

Un chiarimento su cosa indicano i numeri degli aggiornamenti della Protezione civile.

“Ho affrontato una sorta di choc comunicativo nel dover dare notizia soltanto dei ricoveri, però facendo altrimenti si correrebbe un rischio diverso: far passare il messaggio che ‘allora non è niente’. Al di là di questo però c’è un problema statistico, perché non sono computati i tamponi rapidi. Faccio un esempio: se faccio il tampone rapido e risulto positivo, mi viene ripetuto quello cosiddetto molecolare. Se su 50 persone su 5.000 risultano positive al tampone rapido, poi è ovvio che l’incidenza dei tamponi molecolari sarà del 100 per cento. Da un tanto tempo chiediamo alla Protezione civile di considerare i tampono rapidi nelle statistiche diffuse”.

Terapia intensiva: in Sicilia quali sono i numeri che ci devono far preoccupare?

“Farei un’analisi dei dati: il 93 per cento dei positivi in Sicilia non ha bisogno di cure ospedaliere. Una fetta molto più alta oggi che a marzo-aprile, quando il rapporto fra non ospedalizzati e ospedalizzati era 30/70. Poi un altro dato significativo: paragonando i mesi del lockdown a oggi, c’è un incremento dell’attività sanitaria ordinaria del 140 per cento. Vuol dire che in quel periodo avevamo bloccato le cure non Covid, mentre oggi, se il sistema sanitario va anche sotto stress, è perché la Regione ha deciso di non bloccarle di nuovo.

Detto ciò, se immaginiamo una curva di contagio che cresce, dobbiamo immaginare un significativo aumento dei ricoveri in terapia intensiva. Oggi è l’1 per cento dei positivi ad avere bisogno di cure in quei reparti, ma abbiamo sviluppato un modello matematico che ci possa dare sempre un’idea precisa. Oggi siamo intorno ai cento posti occupati e il sistema regge finché c’è bisogno che regga, e al peggio anche le sale operatorie possono convertirsi in terapie intensive. Considerando i 2.500 posti letto disponibili nella Regione, considerare il 15 per cento di questi destinati alla terapia intensiva è una linea di sostenibilità. Sono comunque oltre 300 posti. Dovessimo superarla, dovremmo fare la scelta di rinunciare alle attività ordinarie”.

Le opportunità estive

Forse però questa estate poteva essere impiegata meglio a tutti i livelli, per esempio quello del trasporto pubblico locale.

“Dico una cosa che mi ‘colpisce’ per la mia eventuale responsabilità: noi durante l’estate non siamo rimasti fermi, e i cittadini devono sapere che non è così. Se oggi abbiamo una presenza sul territorio, se abbiamo organizzato le Usca, se abbiamo una capacità di diagnosi che all’inizio non c’era, è perché in estate abbiamo portato la Sicilia da 1.200 diagnosi al giorno a oltre diecimila. Oggi in Sicilia sono alcune migliaia i soggetti positivi in isolamento, ma vi chiedo: accanto a loro quanti sono quelli in quarantena per aver avuto un contatto con un positivo? Mi sento di dire che saranno almeno 30 mila. Su questi la capacità di indagine epidemiologica è molto spiccata, perché abbiamo fatto un lavoro di riorganizzazione in estate”.

Anche se in estate in Italia facevamo 30-40 mila tamponi al giorno. Non è stato quello il momento in cui abbiamo perso la partita non facendone di più e perdendo l’occasione di spegnere focolai?

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“Anche noi abbiamo avuto focolai. Se andate a controllare le statistiche, 650 mila turisti hanno scaricato l’app della Regione per il controllo sanitario e non mi sento di poter dire che il virus è arrivato col turismo. Ma invece è capitato l’inverso: alcuni siciliani sono rientrati in Sicilia da zone ad altissimo contagio, come Malta con cui abbiamo collegamenti giornalieri, portando qui il virus. Questo ha determinato focolai che hanno raggiunto fino a 300 persone. Non faccio il medico, ma dico a me stesso: se avessimo dato un segnale di chiusura, il nostro difficile sistema economico che si era ripreso in alcune aree oggi avrebbe vissuto una fase esiziale. Se poi apriamo una finestra sul mondo, drammaticamente vediamo la stessa scena con le stesse caratteristiche”.

Le strutture

Un lettore chiede se in Sicilia si possano ancora trasformare in strutture Covid altri ospedali, o simili, usati poco o per niente.

“Un dibattito che leggo spesso è sul perché non siano state privilegiate alcune strutture piuttosto che altre. A questo rispondo che un ospedale Covid non lo fa la ‘scatola’. Trasportare macchine e personale è facile, ma se c’è il personale. E questo personale non c’è. Se trasportiamo personale in strutture inutilizzate, dobbiamo chiudere un reparto attualmente attivo. Allo stesso modo, per rispondere a un fabbisogno di 2.500 posti letto in quattro ospedali, dovrei avere cento posti di terapia intensiva per ospedale. Vuol dire 250 medici rianimatori. Noi intanto abbiamo comunque restituito vitalità e funzioni alla sanità siciliana, stiamo riorganizzando una macchina che prima di noi si stava lavorando a smontare. E dico una cosa in più: non vorrei che dopo la pandemia, secondo la logica del risparmio, continuassimo a comprare mascherine dalla Cina. Tutto quello che investi per la produzione sul territorio è un investimento che tornerà. Quando si dice che siamo la settima potenza del mondo, si sa che non siamo in grado di fare mascherine?”.

La storia infinita dell’ex Imi di Palermo: a che punto siamo?

“I primi trasferimenti sono iniziati e il 12 ottobre sono iniziate le attività ambulatoriali. Nella fase di ricerca di aree dove poter rafforzare i posti letto, abbiamo ritenuto fosse necessario completare questa struttura che era del Policlinico e sarebbe rimasta tale anche dopo la pandemia. Oggi alcuni reparti dell’ospedale si sono trasferiti lì, e questo risultato lo lasciamo alla città di Palermo come tanti altri. Il sistema sanitario deve uscire rafforzato e lo fa se miglioriamo le strutture e diamo tecnologie nuove. L’indomani tutto questo sarà dei siciliani”.

Covid hotel: c’è la possibilità di nuove convenzioni per ospitare altri soggetti che rischiano di diffondere il contagio in famiglia?

“Palermo da questo punto di vista è stata la provincia più organizzata: il San Paolo Palace ha oltre 240 posti a disposizione, con assistenza medica garantita, ma anche Castelbuono ha un’area di bassa ospedalizzazione e ci sono diverse Rsa operative in questo senso. Anche a Catania ci sono due strutture alberghiere, ma comunque ogni provincia vanta queste convenzioni. Il nostro obiettivo è differenziare i pazienti nei vari passaggi, dall’isolamento nel Covid hotel a ricovero in terapia intensiva”.

Il nodo della scuola

Didattica a distanza: noi siamo fra le tre sole Regioni che l’hanno imposta al 100 per cento. Perché?

“La cosa mi ha divertito, perché mi sono messo nei panni di alcuni esponenti del Pd e dei Cinquestelle che hanno detto che Musumeci penalizza gli studenti, quando il giorno dopo il premier Conte ha imposto la stessa cosa al 75 per cento. Anche questa era una decisione assunta unanimemente dalla Conferenza delle regioni, con l’esigenza di valutare casi specifici. Per esempio i professori devono dividersi fra più attività se sono in parte sotto Dad e in parte no. Così la fascia scolastica di maggiore contagiosità, quella a contatto con le famiglie ma anche con pub e feste, per quattordici giorni diventa un target di monitoraggio coi tamponi rapidi. Dopo questo perido torneranno in classe, perché il tema non è la scuola. I dati ci confermano che si contagiano dappertutto tranne che a scuola, e per questo accompagniamo la misura a un’indagine epidemiologica”.

Le difficoltà della medicina del territorio

Un altro tema è la medicina del territorio: le testimonianze che raccogliamo non sono quelle di un sistema che va così bene, con numerose persone e anche istituzioni che non sono riuscite a parlare con l’Asp.

“Il numero dei casi rende più difficile la gestione del periodo, ma non ho difficoltà a dire che il territorio per anni è stato considerato il luogo dove mandare chi non aveva voglia di lavorare. Con le debite eccezioni, per carità, ma ora quel sistema lo paghiamo. Inoltre manca un’integrazione coi medici di famiglia: c’è un problema nel rapporto fra il medico e il sistema, che si avvertono quasi come l’uno un corpo estraneo rispetto all’altro. Secondo me un lavoro va fatto, dobbiamo formulare alcune proposte, ma la medicina del territorio fa la differenza così come la fa il sistema dell’assistenza domiciliare integrata. Anticipo anzi che entro l’anno proprio quest’ultima sarà oggetto di una riforma sulle procedure di accreditamento”.

Dpcm, “fare di testa nostra? Non possiamo”

Il governo regionale ha chiesto a quello nazionale una deroga per fare ‘di testa sua’ nella gestione delle chiusure anti-Covid, come la provincia autonoma di Bolzano. Realisticamente si può? Possiamo rassicurare chi è stato messo in ginocchio dai decreti nazionali?

“Non possiamo farlo, prenderemmo in giro le persone. Potremmo fare un’ordinanza che però verrebbe impugnata poco dopo, quindi col governo ci si deve parlare. In questi giorni la richiesta verrà rivolta al presidente Conte da tutte le forze politiche, dato che riguarda tutta Italia fra proteste e chiusure. Il nostro auspicio è che la cura si chiami ‘restrizione della mobilità’. Perché se proprio c’è una ragione scientifica, mi sembra indispensabile che qualcuno ci spieghi perché chiudere attività produttive che rispettano le norme. E al momento non c’è”.

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27 Ottobre 2020, 16:12

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