Tangenti e fotovoltaico, Ingrassia: | vessato da Bonomo e Vitrano

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11 Aprile 2013, 12:11

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PALERMO – Tre anni di pressioni e mazzette, di autorizzazioni veloci per grandi impianti fotovoltaici e conti in Svizzera. Li ha raccontati davanti alla terza sezione del Tribunale di Palermo l’ingegnere Piergiorgio Ingrassia che si è costituito parte civile con l’assistenza degli avvocati Giovanni Di Benedetto e Ugo Castagna, nel processo a Gaspare Vitrano, ex deputato regionale arrestato nel marzo 2011 mentre intascava una mazzetta da un imprenditore del fotovoltaico e accusato di concussione. Ingrassia, direttore dei lavori di alcuni cantieri finito in manette assieme a Vitrano, ha poi iniziato a collaborare con i pm e ha patteggiato la condanna a due anni.

Nelle scorse udienze, il pm Maurizio Agnello aveva contestato all’imputato anche la concussione in danno dell’ingegnere, reato di cui è accusato pure un altro ex deputato: Mario Bonomo. I tre erano titolari, anche attraverso prestanome, di alcune società del fotovoltaico. Proprio sul ruolo di Bonomo si è concentrato l’esame del pm. Ingrassia, oltre a raccontare il sistema di autorizzazioni e mazzette, ha parlato anche della “rete telefonica riservata”, con sim intestate a ignari utenti, attraverso cui i due ex deputati comunicavano con lui e gli altri soci come Marco Sammatrice, nipote di Bonomo. “Era stato Sammatrice – ha detto – a prendere delle sim ad hoc utilizzando i dati degli acquirenti della sua concessionaria di moto a Siracusa”. Il testimone ha parlato anche dell’ “affare del fotovoltaico in Sicilia”, di cantieri che sarebbero stati fermati nel siracusano, dopo avere ricevuto tutte le autorizzazioni, perché non si sarebbero appoggiati alle ditte “giuste” e a bonifiche del territorio dove si trovano gli impianti per “eliminare eventuali reperti archeologici” che se ritrovati avrebbero rallentato i lavori.

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“I cantieri – ha spiegato – dovevano essere affidati a ditte di fiducia di Bonomo e Vitrano che in cambio facevano viaggiare le autorizzazioni. Accettai perché avevo paura di rifiutare l’accordo”. E poi arrivò la richiesta di tangenti: “Lo chiamavano ‘costo politico’”. La vicenda venne fuori grazie all’imprenditore Gianni Correro che fece incastrare Ingrassia e Vitrano. (ANSA).

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11 Aprile 2013, 12:11

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