Tangenti sulle opere pubbliche| Quando il sistema protegge i furbi - Live Sicilia

Tangenti sulle opere pubbliche| Quando il sistema protegge i furbi

Il Provveditorato alle opere pubbliche Sicilia e Calabria

Gli uffici di Palermo, dove pochi giorni fa è scatto il blitz della polizia, erano un'enclave del malaffare.

PALERMO – Gli uffici palermitani del Provveditorato alle opere pubbliche erano un’enclave protetta da un sistema che sembra ideato apposta per alimentare, volendo usare le parole del gip Marco Gaeta, “un mercimonio di tipo corruttivo”.

Contro il malaffare si può sperare solo nella coscienza del singolo funzionario pubblico. Non basta per non prestare il fianco alle storture. Ed infatti il blitz di di qualche giorno fa, coordinato dalla Procura della Repubblica racconta che a guidare l’azione amministrativa erano, solo ed esclusivamente, le tangenti.

Senza la collaborazione di un imprenditore, che non si è voluto accomodare alla tavola imbandita delle commesse, nulla si sarebbe saputo. Nell’ufficio di piazza Verdi, propaggine dello Stato in terra di Sicilia, vigeva la regola della quantità. Niente tangenti smisurate, ma tante piccole (?) mazzette, dai cinque agli otto mila euro, per stare al riparo dai riflettori.

La gestione dei lavori andava avanti a trattative negoziate e affidamenti diretti, senza la necessità di bandire gare ad evidenza pubblica. Lo prevede la legge, specie quando c’è, ad esempio, l’urgenza di mettere in sicurezza una scuola frequentata dai bambini, per buona pace dell’Anac, l’autorità contro la corruzione, che ne denuncia l’abuso.

Al provveditorato decidevano innanzitutto quali ditte invitare per presentare un’offerta. I ribassi, decisivi per vincere una blanda concorrenza, sarebbero stati recuperati con favorevoli perizie di variante. “… aumentiamo un centimetro di qualche minchiata… meno sono i prezzi, diciamo, e meno dà nell’occhio…”, diceva Antonio Casella, uno dei quattro funzionari ai domiciliari. Nessun rischio, anche perché era Casella, o qualche altro indagato, ad avere il compito di controllare. Loro erano i progettisti o i responsabili unici dei procedimenti incaricati di certificare che tutto stesse proseguendo per il meglio. Preparavano gli stati di avanzamento lavori (Sal) e davano il via libera ai pagamenti scattando una fotografia taroccata dei cantieri. Bastava, infatti, inserire la voce di un lavoro mai eseguito o maggiorare il costo di una fornitura per consentire agli imprenditori di accumulare le provviste necessarie per pagare le tangenti.

Troppo comodo per gli imprenditori che non dovevano mettere mano al portafogli se non per pagare qualche cena ai pubblici ufficiali, i quali, rientrati in ufficio, falsificavano pure i fogli di missione per ottenere rimborsi non dovuti. Risultavano in servizio a controllare i lavori ed invece se ne andavano in giro a fare shopping negli outlet dell’abbigliamento che si incontrano lungo l’autostrada. Non sapevano di avere i poliziotti della Mobile alle calcagna. Gli imprenditori pagavano pranzi e cene e i funzionari si facevano intestare le ricevute come se avessero sborsato loro il denaro.

Anche su questo fronte il sistema sembra fatto apposta per i furbi: “… è proprio tra le maglie larghe lasciate dal sistema che, verosimilmente, i pubblici funzionari infedeli si muovevano – scrive il Gip – attuando i loro propositi criminosi: era plausibile pensare, infatti, che i funzionari avessero profittato del mancato controllo a monte effettuato dall’ufficio preposto del provveditorato (la Ragioneria territoriale), e, dovendo interloquire soltanto con gli uffici comunali -che nel caso dell’edilizia scolastica era l’ente su cui gravavano anche la gran parte delle missioni analizzate -, gli stessi funzionari infedeli avessero giocato sull’incertezza da parte dei Comuni sulla corretta applicazione della normativa di riferimento sulle missioni, riuscendo a porre in essere le loro ripetute truffe”.

Non ci si trova di fronte al patto del tavolino attraverso cui Angelo Siino, il cosiddetto ministri dei Lavori pubblici di Cosa Nostra, controllava negli anni Ottanta gli appalti pubblici per conto dei boss. Qui si è in presenza di un’operazione da artigiani della tangente, ma non per questo meno efficace. Anzi, è stata più invasiva visto che alla regola della mazzetta non sfuggivano neppure i lavori eseguiti nei commissariati di polizia o dentro le caserme dei carabinieri. È la conferma che gli indagati erano certi di farla franca protetti, nella loro enclave, da un sistema pensato su misura per i furbi.


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