11 Febbraio 2014, 11:31
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PALERMO– Tania era una ragazzina assennata, dolce e protettiva. Curava fratelli e sorelle, come una piccola mamma. Si preoccupava per tutti. Chi la racconta, dice cose che fanno riflettere: “Non era come la maggioranza delle ragazze di Brancaccio che, per un fatto culturale, spesso nascondono la fragilità con la violenza. O magari spacciano, o finiscono in giri cattivi. Tania era speciale”. Ma bisogna riflettere sull’aggettivo ‘speciale’ e collocarlo nella sua giusta dimensione psico-geografica. A Brancaccio, significa che sei una piccola donna onesta, che non pratichi gli atteggiamenti sfacciati con cui le piccole donne che ti circondano mimetizzano la passività. Laggiù, se sei una ragazzina, sei inerme. Sei prigioniera nella porzione di città dimenticata che non dipende dal Comune. Brancaccio dipende dai consigliori e dai mammasantissima del giorno. E si appoggia al Centro Padre Nostro e sulla parrocchia di don Maurizio per ricevere conforto nei suoi bisogni materiali. Eppure, Tania sperava.
Nella foto si intravvedono, attraverso i caratteri somatici, le caratteristiche di Gaetana Priolo – così passerà alla cronaca della sua morte, spogliata di diminuitivi, registrata freddamente negli archivi di ospedali e inquirenti – di Tania, per coloro che la amavano, uccisa da un ascesso a diciotto anni. La assennatezza. L’equilibrio. La dolcezza. Una curiosità sbarazzina. C’è un mondo, dietro lo scatto, che affiora solo in casi del genere, quando la morte, o un incidente, o una disgrazia rivestono di dolore straordinario un dolore altrimenti ordinario. Il dolore di Brancaccio, anonimo e non narrato, diventa un puntino luminoso. Si allarga, fino a raggiungere l’orlo di un giornale. Ci voleva tragicamente un ascesso fatale, una ragazza strappata ai suoi. Ci voleva la morte per tornare a parlare della vita di Brancaccio, almeno un po’.
Gaetana Priolo a Brancaccio ci abitava, dalle parti via Azolino Hazon, del condomininio ‘maledetto’, il numero diciotto, centro di traffici e delle battaglie di un prete chiamato don Pino. Tania a Brancaccio respirava. E sapeva starci – raccontano – per non esserne travolta. Era attenta e gentile. Curava i suoi fratelli proprio come una mamma, dopo la separazione dei genitori. Non alzava mai la voce. Non diceva parolacce. Non bestemmiava. Tania sperava in qualcosa che rimarrà per sempre con lei. Era dolce, Tania.
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11 Febbraio 2014, 11:31