28 Novembre 2016, 05:54
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PALERMO – Prima gli danneggiarono il negozio e poi, quando Gino Salerno chiese spiegazioni, gli dissero che “si doveva tappare la bocca e non sparlare di persone del mandamento e di non immischiarsi in nulla. Io e mio fratello riferimmo tale cosa a Salerno che non fece alcuna obiezione”. A raccontarlo è il pentito del Borgo Vecchio Giuseppe Tantillo aggiungendo un ulteriore tassello verso la verità.
La notte dell’8 agosto 2015. Qualcuno piazza due piccole bombole di gas davanti alle vetrine del bar-tabacchi “Tabacco & Caffè” di via Gaetano Daita. Una si incendia, ma non esplode. L’altra sfiata e fa cilecca. Si pensa subito al racket, ma gli eventi successivi hanno aperto nuove ipotesi. Nel febbraio le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo e del Gico della Guardia di finanza fanno scattare il sequestro dei beni di Luigi Salerno, disposto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale. È il lui il proprietario dell’attività commerciale. Salerno ha già scontato una condanna a nove anni per mafia ed estorsione. Secondo gli investigatori, sarebbe socialmente pericoloso e non avrebbe redditi leciti che possano giustificare alcuni investimenti.
“Socialmente pericoloso” lo sarebbe non solo per la sua antica militanza in Cosa nostra. Da alcuni colloqui in carcere era emerso che Giuseppe Di Giacomo, poi assassinato alla Zisa, aveva incaricato Alessandro D’Ambrogio, reggente del mandamento di Porta Nuova, di avvicinare Salerno per chiedergli un finanziamento da 100 mila euro per un traffico di droga. Salerno avrebbe preso tempo, provocando la collera di Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano, che gli rimproverava le sue “mancanze” nei confronti dell’organizzazione, della quale avrebbe fatto fatto parte solo “per curare i suoi interessi”. C’è di più, perché Giovanni Di Giacomo aveva incaricato il fratello di pedinare Salerno, forse con il proposito estremo di eliminarlo.
Ora sono arrivate le dichiarazioni di Tantillo che ha accusato e stesso e il fratello Domenico di avere retto le sorti del clan del Borgo: “Un giorno Paolo Calcagno (in carcere con l’accusa di essere stato il capomafia del mandamento di Porta Nuova, ndr) nel mese di giugno 2014 ci incaricò di fare un danneggiamento al negozio bar di via Daita di Gino Salerno. Il motivo era perché parlava male di gente del mandamento e poi aveva rapporti con il pentito Fava. Io e mio fratello Domenico abbiamo ordinato di fare il danneggiamento con una bomboletta di gas e della benzina”. Il nome dell’autore dell’intimidazione resta coperto da omissis. Il collaboratore svela, però, ciò che avvenne dopo: “È il cognato di Salerno, chiamato Marloboro, a dirci che Salerno voleva spiegazioni”. Ed invece Salerno fu costretto a “tapparsi la bocca”.
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28 Novembre 2016, 05:54