26 Ottobre 2020, 13:05
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PALERMO– Abbracciamoli a distanza, ma con forza, gli attori, i registi, quelli che chiudono il sipario, che sistemano le luci, che puliscono in sala… Tutti quelli, cioè, che abitano in un teatro, che in un teatro dormono, che di teatro vivono, che in un teatro mangiano. Abbracciamoli, perché sono innocenti e gabbati. Hanno sanificato. Hanno speso. Si sono indebitati. Hanno nascosto la piega amara della bocca sotto una mascherina. E come Tonio, ne ‘I pagliacci’, infine, hanno sospirato: “Andiam incominciate!”. E ogni sera hanno cantato, implicitamente, seguendo la romanza del personaggio d’apertura dell’opera di Leoncavallo: “E voi, piuttosto che le nostre povere gabbane d’istrioni, le nostr’anime considerate, poiché siam uomini di carne e d’ossa…”. Nonostante tutto. E adesso sono lì, in un angolo buio, in mezzo alla polvere, traditi da chi non ha rispettato le regole e da chi non ha sapute farle rispettare. Sbarrati. Sono lì gli artisti, i cittadini modello della Repubblica del Teatro, che avevano creduto, con immensa fede, nel valore della comunità. E sono stati abbandonati.
“Noi viviamo solo per questo, noi siamo stati attenti…”. Così dice Daniela Pupella Melluso (nella foto sulla scena), figlia d’arte, una leonessa fuori e dentro il palcoscenico. Perciò mette ancor più tenerezza sentirla piangere al telefono. “Mi sento come una bambina – dice -. Mi hanno promesso cose belle, il ritorno alla serenità, se avessi rispettato le regole. Io le ho rispettate. Noi le abbiamo rispettate. Abbiamo sanificato tutto il sanificabile, mettendo gli spettatori in sicurezza. Abbiamo realizzato una prospettiva in anni di duro lavoro, io e la mia famiglia. Ora piango per errori che non ho commesso io. E non piango mai. Io sono nata per il teatro”. I Pupella, con il capostipite, l’eccelso Mario, sono da sempre costruttori di sogni bellissimi e puliti. Ai sogni non hanno mai rinunciato, nemmeno quando erano complicati da reggere. Hanno messo su il ‘Teatro Sant’Eugenio’ con passione e impegno. Daniela ha fatto la mesta conta degli ultimi giorni. “Abbiamo visto gli spettatori calare di numero per la pandemia. Ieri, prima della chiusura, c’erano diciotto persone”.
Consuelo Lupo, voce indimenticabile e sindacalista, narra il momento sul suo profilo virtuale: “Non si può pensare di chiudere i teatri e lasciare gli artisti, i lavoratori precari dello spettacolo, che non godono di ammortizzatori o cassa integrazione, al proprio destino. Artisti che aspettano ancora i bonus di aprile e maggio… Noi siamo l’anima del Teatro, noi facciamo vivere le emozioni, noi trasfiguriamo e restituiamo coscienza e sapienza. Noi solo Noi. Tieni accesa la cultura attraverso chi la fa“. Consuelo rimarca: “Siamo allo stremo, disperati e disillusi. Presto saremo in piazza”.
Elisa Parrinello, altra anima valorosa, pure lei superba figlia d’arte, con il suo ‘Ditirammu’, ha dato sfogo al suo cuore spezzato: “Se ci chiudete i Teatri, dopo aver speso un sacco di soldi per per riaprirli, ri-programmarli, rimanendo ad oggi luoghi assolutamente sicuri, come pensate che vivremo domani? Non siamo macchine da guerra, siamo dei servitori del palcoscenico, siamo in missione da una vita, viviamo per il prossimo, viviamo per resistere, per dare speranza illuminando gli occhi del pubblico, non siamo qui per metterci ‘solo’ in mostra. Se ci chiudete ancora una volta, non serviranno nemmeno una valanga di soldi a darci la felicità, perché? Provate a chiederlo a un artista”. E, sempre nel confessionale dei social, una attrice fantastica come Stefania Blandeburgo ha chiosato: “Offresi attrice condominiale. Solo ampi androni . O pozzi luce comodi. Per un teatro da pianerottolo”. Così si muove il popolo di quelli che sono bravi o bravissimi, per sopravvivere. Ed è una ferita aperta da anni: una società che affama gli artisti, che li costringe ad arrabattarsi, non ha saputo proteggerli allo scoccare della catastrofe. E li ha lasciati soli, con una valigia di rimpianti. Infatti: “Siamo il padre e la figlia, finalmente qua. Siamo una grande famiglia, abbiam lasciato soltanto un momento la nostra valigia di là…”.
Davide Enia ha scritto: “E quindi la serie A è un focolaio continuo, e si chiudono i teatri. Le persone si stipano nelle funivie per sciare, e chiudono i teatri. I mezzi pubblici non sono stati potenziati, le persone sono strette una contro l’altra, ma chiudono i teatri. Briatore è positivo, e chiudono i teatri. Focolai nelle RSA, e a chiudere sono i teatri. Virologi e medici sparano c… in tv sulla morte del virus, e chiudono i teatri. Manifestazioni di piazza e scontri, e chiudono i teatri. Il Ministro è contrito, è dispiaciuto, però chiudono i teatri”. Francesco Giambrone, alla guida del Teatro Massimo, ha aggiunto: “I teatri sono luoghi di conforto per lo spirito oltre che luoghi di cultura, di conoscenza, di condivisione e di democrazia. Fanno stare bene. Per questo dovrebbero stare aperti, come le chiese”.
Ma i teatri chiudono. Per un tempo che non sappiamo davvero con certezza il sipario non si aprirà e le luci non si accenderanno. Abbracciamole da lontano, con affetto, le anime prigioniere tra le crepe di un sogno. E attendiamo insieme che passi la nottata. Un giorno ci rivedremo.
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26 Ottobre 2020, 13:05