21 Gennaio 2017, 05:49
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PALERMO – La decisione è attesa a giorni e sarà quello, probabilmente, il momento decisivo per conoscere il futuro dell’anello ferroviario di Palermo. I pubblici ministeri hanno infatti chiesto al Tribunale di Catania di restituire la Tecnis, il colosso delle costruzioni, ai suoi proprietari, ossia Mimmo Costanzo e Concetto Bosco, dal momento che non ci sarebbero pericoli di infiltrazioni criminali. L’azienda catanese, sotto amministrazione giudiziaria, ha nel suo portafoglio numerosi cantieri sparsi per l’Italia fra cui l’anello di Palermo, opera da oltre 100 milioni di euro che da anni condiziona la vita di residenti e commercianti, di via Sicilia, del Politeama ma soprattutto di via Amari, dove i negozianti e i residenti si preparano a chiedere il risarcimento dei danni.
Un cantiere che è stato al centro di polemiche, proteste, accuse e che ha già fatto registrare un ritardo di tre anni sui tempi di ultimazione. Il Tribunale di Catania dovrà stabilire, in pratica, se dissequestrare o meno il colosso delle costruzioni, decisione che potrebbe avere più di una ripercussione sull’anello ferroviario di Palermo. I sindacati hanno detto esplicitamente che il dissequestro sarebbe il presupposto per il rilancio dell’azienda e della sua produttività, tesi che, a taccuini chiusi, anche dentro Rfi qualcuno condivide. Il concetto è che un’azienda in mano ai proprietari avrebbe non soltanto l’interesse ad accelerare e completare i lavori, ma anche una rapidità nelle decisioni che un’azienda posta sotto sequestro non potrebbe mai avere. Assai più neutrale il Comune, che non si predilige alcuna ipotesi: “Noi tifiamo solo per la conclusione tempestiva del cantiere e il recupero dei ritardi”, dice il vicesindaco Emilio Arcuri.
Ad attendere con ansia e preoccupazione la decisione del Tribunale, però, ci sono anche i commercianti di via Emerico Amari, che da due anni sperano di veder smontate le transenne e di ritornare alla normalità. La strada che collega il porto al Politeama, e sotto cui dovrebbero passare i binari dell’anello, è diventata suo malgrado l’emblema dei disagi e delle conseguenze negative del cantiere che non sono tardate ad arrivare.
Lo dimostrano le saracinesche abbassate dei negozianti che hanno gettato la spugna, come la galleria “Gli unici veri falsi d’autore” o “Sicily shopping”, ma anche gli occhi lucidi e le voci rotte dall’emozione di quei commercianti che ancora resistono al crollo dei fatturati. Al civico 79, per esempio, sorge RistoCibus, un locale su due piani che offre prodotti tipici siciliani, pane fatto in casa, alimenti ricercati ma anche pasti da portar via o da consumare ai tavoli. Un’azienda che conta 14 dipendenti e su cui vigila Francesco, 72 anni, sciarpa al collo e cappello a tese larghe. “Faccio il ristoratore in questa zona da 45 anni – racconta il signor Giglio – ci siamo spostati in questo punto nel 2013 facendo un grosso investimento e ottenendo ben 23 autorizzazioni, le cose andavano benissimo, finché non hanno montato i cantieri. Da allora il nostro fatturato è calato del 70%”.
E in effetti raggiungere il negozio non è certo facile: le pareti del cantiere sorgono a pochi passi, i parcheggi sono perennemente pieni e anche passeggiare sui marciapiedi è complicato: motorini in sosta dove non dovrebbero, i tavolini di qualche bar, impalcature per evitare possibili schizzi di fango dell’altissima trivella che però ostruiscono il percorso, specie sul lato della Camera di Commercio. “Non sappiamo quello che succederà e ci sentiamo presi in giro – dice Giglio – si figuri che mi è arrivata una tassa sui rifiuti da 5 mila euro, quando qui non si vede mai uno spazzino e non vengono nemmeno svuotati i cestini. Dei vigili neanche l’ombra. Nessuno ci aiuta e per questo abbiamo deciso di chiedere i danni”.
Una settantina fra commercianti e residenti si sono riuniti in un’associazione, Amari Cantieri, presieduta da Francesco Raffa, titolare dal 1979 di Tre Erre ceramiche e autore di proteste e raccolte di firme. “Ne abbiamo collezionate 1.200, insieme agli attivisti del M5s, e le abbiamo presentate al sindaco – racconta Raffa – ma non è cambiato nulla. L’area 4 doveva essere liberata entro il 2016 e invece è stata prorogata a marzo e non sappiamo nemmeno se il termine dell’ordinanza verrà rispettato. Noi abbiamo chiesto al Comune di illuminare al meglio la zona, di garantire i passaggi pedonali, di contrastare l’abusivismo, insomma di non rendere vani i nostri sacrifici”.
In via Amari, di mattina, le ruspe si muovono e ha iniziato a girare anche la trivella, mentre le macchine cercano disperatamente un parcheggio e i turisti alzano lo sguardo verso le pareti dei cantieri. “I turisti passano dal lato opposto a quello della Camera di Commercio”, dice Raffa percorrendo i marciapiedi, tra un saluto all’operaio della Tecnis e un collega che lo ferma per chiedere se bisogna firmare un’altra petizione. E in effetti attraversare via Crispi e percorrere via Amari sul lato destro, in direzione centro, è impresa assai ardua: la coincidenza di più aree transennate rende molto difficoltoso il passaggio, invogliando quasi tutti a scegliere il lato opposto.
“Noi ci siamo rifiutati di bloccare i cantieri – continua Raffa – ma il nostro timore è che adesso ricominci il braccio di ferro tra Tecnis, Rfi e Comune. L’amministrazione avrebbe dovuto sollecitare con più forza l’azienda che, secondo noi, non è in condizione di portare avanti l’opera. Per questo ci stiamo rivolgendo a un avvocato: chiederemo il risarcimento dei danni a tutti. Inoltre i residenti sono spaventati per le proprie case il cui valore è in picchiata: dopo quello che è successo in via Bernava, chi ci assicura che i palazzi non subiranno danni?”.
Timori e sospetti che rendono incandescente il clima attorno ai cantieri che intanto procedono, stando a quanto dice Rfi, senza troppi intoppi. Le relazioni delle Ferrovie, infatti, segnalano un ritardo di 2 o 3 mesi in viale Lazio ma il rispetto del crono programma in via Amari, cosa che invece i commercianti contestano vivacemente. “L’area 4 sarà riaperta alla circolazione entro luglio – spiegano dalla Tecnis – ma dopo Pasqua ne riconsegneremo una parte, quella più alta. Per quanto riguarda l’area 5, invece, attendiamo la consegna da parte del Comune ma non è detto che, quando questo avverrà, avremo la disponibilità dei macchinari. E aspettiamo ancora la consegna delle aree al porto”. Al di là della decisione del Tribunale, però, si intravede il rischio di un nuovo braccio di ferro sulle aree. Il Comune, infatti, non ha alcuna intenzione di concedere l’area 5 di via Amari finché non verrà recuperato il ritardo in viale Lazio.
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