01 Giugno 2016, 16:07
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PALERMO – L’ispezione annunciata, alla fine, c’è stata davvero. Solo cartolare, però, come ricostruisce il Corriere della Sera oggi in edicola. Il ministero di Grazia e giustizia ha dato mandato al suo ispettorato di accertare la “effettiva documentazione e soprattutto corretta custodia delle intercettazioni”. O meglio, delle telefonate fra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino che fanno ancora discutere dopo che nel luglio 2012 resero incandescente l’estate palermitana.
I pubblici ministeri del processo sulla trattativa Stato-mafia, allora coordinati da Antonio Ingroia, volevano depositare e ascoltare quelle telefonate da loro stessi definite “penalmente irrilevanti”. L’allora presidente della Repubblica, mentre i media anticipavano l’esistenza delle telefonate, si oppose con fermezza. Prima si rivolse all’Avvocatura dello Stato, poi al procuratore generale della Cassazione e infine sollevò un conflitto fra poteri senza precedenti. La Corte Costituzionale gli diede ragione e le intercettazioni furono distrutte.
La faccenda palermitana che spaccò la Procura, allora retta da Francesco Messineo, non accese l’interesse del ministro della Giustizia, Paola Severino. Il suo successore, Andrea Orlando, a novembre scorso ha deciso di vederci chiaro. Erano i giorni in cui Ingroia, nel frattempo divenuto commissario di una partecipata su incarico di Rosario Crocetta e dopo avere visto fallire il suo progetto politico, annunciava in un’intervista a Libero di volere svelare il contenuto delle telefonate distrutte “magari attraverso un romanzo, un mezzo che mi permetterebbe di usare certi filtri per raccontare una realtà che va ben al di là della più fervida immaginazione”. Aveva pure un’ idea per il titolo: “Caro Giorgio come stai?”.
Al ministero si saranno chiesti se qualcuno detenesse copia di quelle telefonate che sono state distrutte. La Procura di Palermo ha risposto che nulla era sfuggito al controllo. A marzo, però, il capo degli ispettori ministeriali ha chiesto di verificare se da qualche parte in un server del Palazzo di giustizia potesse esserci un duplicato delle intercettazioni. In Sicilia è giunto un esperto informatico: esito negativo.
Come racconta il Corriere i magistrati che hanno partecipato alle indagini (i procuratori aggiunti Vittorio Teresi e Lia Sava, i sostituti Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Paolo Guido, hanno messo per iscritto che le registrazioni sono state cancellate e non esiste altra copia. Di Matteo ha pure aggiunto una nota in cui si è detto sorpreso per l’ingiustificata sfiducia nei suoi confronti.
“Sono abbastanza sbalordito dal fatto che, di fronte a tante disfunzioni del pianeta giustizia in varie parti d’Italia di cui mi sto rendendo conto soprattutto adesso che faccio l’avvocato, che al ministero della Giustizia, a distanza di anni, ci si preoccupi ancora delle intercettazioni tra Napolitano e Mancino. Arrivando persino a spendere soldi dell’erario per pagare un perito tecnico, non fidandosi dei magistrati che più volte hanno chiarito che quelle intercettazioni sono state distrutte”. Lo dice all’Ansa l’ex pm Antonino Ingroia commentando le verifiche disposte dal ministero a Palermo sull’eventuale presenza di tracce nei server delle intercettazioni casuali nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. “Sto già lavorando a un’opera letteraria – aggiunge Ingroia -, un romanzo in cui racconterò delle cose”.L’ex pm, alla domanda se rivelerà i contenuti delle intercettazioni, poi distrutte dai magistrati, tra Napolitano e Mancino, risponde: “Ci sono delle cose che vanno raccontate”.
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01 Giugno 2016, 16:07