01 Giugno 2019, 18:57
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E’ importante il luogo che ci accoglierà dopo che saremo morti come il luogo che accolse coloro che amavamo quando, a dispetto del nostro amore imponente, morirono. Ognuno, dentro di sé, conserva una marcia funebre di sottofondo che aumenta man mano che si annotano i riti del tramonto. E ognuno sperimenta una sua forma elettiva del commiato.
Per me quel canone invisibile e non voluto è fissato dalla dipartita di una zia professoressa che chiuse gli occhi, per fortuna, nel suo letto e fu salutata lì dove era nata, in una casa grande come un campo di calcio, con corridoi tortuosi, specchiere a ogni angolo che ne raddoppiavano la dimensione, e fantastici disegni al soffitto – scene di caccia, draghi fumiganti, costellazioni e astrologie – che racchiudevano più visioni dentro una sola pittura. E’ vero: noi non vedremo il contesto in cui coloro che ci hanno accompagnato deporranno i crisantemi. Eppure, anche da defunti ci terremo a fare una dignitosa figura, specialmente da palermitani. Questa è o non è la città del prestigio?
E va pure benissimo l’onestà cromatica di una camera mortuaria ospedaliera. Quel bianco-sanità che accoglie lacrime di provenienze diverse, lì convenute per l’identico motivo, risponde alla regola del decoro, al suo compito silenzio, al contegno dell’occasione. E se ne possono trarre indimenticabili lezioni. Una volta, il custode di un obitorio disse: “Egregio signore, io un mi scanto ri muorti. Mi scanto dei vivi…”.
Ma la tenda in mezzo alla pineta è il segno di una oggettiva e universale decadenza che squarcia l’ultimo velo della pietas. E non c’è bisogno nemmeno di cercare un responsabile per contestualizzare il morso dello sconforto. Anzi, siamo disposti a credere, per inclinazione alla buonafede, che tutti avranno agito al meglio, soffocati da una necessità, per arginare il peggio nella vicenda delle salme ospitate in un tendone all’ospedale ‘Ingrassia’, essendo la camera mortuaria momentaneamente indisponibile.
Ma la tenda in mezzo alla pineta resta comunque un evento che conduce al soprassalto, all’amarezza, al ‘dove siamo arrivati’. Tuttavia, sarebbe volgare utilizzarla per la solita polemica da cortile palermocapitaledellaculturahaivistosinnacollanno a cui bastano, per esempio, le strade disconnesse e i quartieri abbandonati. E’ qualcosa che va oltre, nella metafisica del disastro, raggiungendo un sentimento totale di catastrofe.
Hai appena pronunciato l’addio a qualcuno che amavi e che continuerai ad amare con l’esperienza del rimpianto. Sei sotto un tendone blu da terremoto, o da circo, gomito a gomito con involontari compagni di sventura. L’odore della gomma. L’impossibilità minima del raccoglimento. La memoria che si svolge e si riavvolge in una pena resa bruciante dal disagio. Intorno, il guaito dei cani randagi.
Chi non penserebbe che i morti, come i vivi, sono ormai irrilevanti, cose inanimate da affastellare in un deposito? Chi avrebbe torto, pensandolo?
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01 Giugno 2019, 18:57