13 Febbraio 2014, 15:15
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TERMINI IMERESE (PALERMO) – Quando il corteo arriva nella centralissima piazza Duomo il colpo d’occhio è impressionante: poco meno di cinquemila persone si assiepano davanti al Comune per ascoltare gli interventi dei sindacalisti e dei rappresentanti di tutto quello spaccato sociale che ha dato vita al serpentone per le strade di Termini Imerese. La protesta dei 1.200 lavoratori Fiat diventa lo sciopero e la battaglia “di un’intera comunità”, per dirla con le parole di Roberto Mastrosimone, storico segretario provinciale della Fiom. Termini risponde con tante saracinesche abbassate al passaggio del corteo: “E’ giusto partecipare alla sofferenza di tutta la città – sottolinea Mario Artese, che mette a posto le carte della sua agenzia immobiliare prima di chiudere -, ormai qui è crisi nera”.
Fin dalle nove spuntano le prime ex tute blu dello stabilimento del Lingotto, ma anche i tanti operai di un universo spesso dimenticato davanti al grande paravento della “vertenza Fiat”: quest’ultimi sono i lavoratori dell’indotto, quel tessuto di piccole aziende che producevano i componenti per il casa automobilistica torinese e che adesso vedono concretizzarsi lo spettro del licenziamento senza neanche il paracadute degli ammortizzatori sociali. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono i 174 operai di Lear e Clerprem, aziende che producevano i sedili delle auto Fiat e le loro imbottiture. Le lettere di licenziamento sono arrivate a fine dicembre e ora il tavolo sindacale è aperto “e speriamo di poter avere buone notizie nei prossimi giorni – dice Enzo Comella, segretario provinciale della Uilm, che con Fiom e Fim Cisl ha organizzato la manifestazione -. La reindustrializzazione di Termini Imerese è stata un fallimento, per stessa ammissione del ministero e dell’advisor Invitalia, bisogna ripartire da Palazzo Chigi”. In testa al corteo c’è anche padre Francesco Anfuso, arciprete di Termini che pochi giorni fa aveva invitato tutta la popolazione a dare manforte alla manifestazione: “La Chiesa è il primo parafulmine di chi cade in povertà – racconta -. Sono in mezzo alla gente perchè è questo il mio ruolo”.
Nel grande quadro che si dipinge lentamente da piazza 25 aprile, dove prende il via la manifestazione, si mischiano le storie di centinuaia di famiglie. A giugno scadrà anche la cassa integrazione in deroga e per i 1.200 lavoratori Fiat sarà licenziamento. “Tornare a lavorare per la Fiat sarebbe la soluzione migliore – dice Giovanni Scalia, una vita passata in catena di montaggio e ora in cassa integrazione -, ma ben vengano anche altre soluzioni. Vogliamo tornare a lavorare”. Storie anche molto giovani, come quella di Salvatore Coniglio, che frequenta la V B del liceo classico Ugdulena: “Mio padre lavorava alla Lear, adesso è in mobilità”. Fermo sull’uscio di un palazzo Salvatore Licata, senza lavoro da quattro anni: “Avevo un negozio di biancheria, ho dovuto chiudere e sono partito per il Nord. Ho lavorato, poi sono stato licenziato e sono tornato a Termini. La situazione? La vedete sotto ai vostri occhi, la chiusura della Fiat ha portato il deserto”.
Lo sguardo, per tutti, è rivolto all’incontro di domani, quando si aprirà il tavolo con il ministero dello Sviluppo economico e il governo. “A Roma devono capire che questa non è una vertenza periferica – dice il sindaco, Salvatore Burrafato -. Il governo trovi la forza per costringere la Fiat a tornare sui propri passi. Il Lingotto non può lavarsene le mani”. E’ l’eterno bivio tra chi ha sostenuto il sogno della reindustrializzazione (finora fallita miseramente) e chi ha sempre sperato nel ritorno sotto l’ala protettiva della Fiat. “Tutte le ipotesi di rilancio industriale sotto altri marchi si sono rivelate dei fallimenti – ammonisce Mastrosimone -. Abbiamo uno stabilimento ancora efficiente e degli operai che hanno voglia di lavorare. La Fiat deve tornare a guidare il rilancio di Termini”. La pensa così anche Giovanni Scavuzzo, segretario provinciale della Fim Cisl, che però precisa: “Ben vengano anche altri progetti, ma nessuno degli attori presenti a questo tavolo si alzi se prima non saranno stati salvati gli operai dal licenziamento”.
In piazza arrivano tanti gonfaloni del comprensorio madonita e arrivano anche il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, e il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, in qualità di presidente dell’Anci Sicilia: “Termini Imerese è una vertenza nazionale – afferma Orlando -. Il governo nazionale si dia una smossa e costringa la Fiat a fare il proprio dovere verso questo territorio, oppure favorisca l’insediamento di case automobilistiche straniere”. C’è chi si lamenta per non aver potuto parlare dalla gradinata del Comune in cui è montato il microfono, poi la conclusione è affidata al leader nazionale della Fiom, Maurizio Landini, che parla per quasi un’ora: “La partita è complicata ma non accetteremo questa situazione – assicura -. La Fiat non può sedere a questo tavolo come un normale spettatore, deve assumersi le sue responsabilità e guidare il processo di reindustrializzazione. Non ci piace chiedere ammortizzatori sociali, ma saremo costretti a farlo per garantire la copertura per tutto il 2014, ma serve un piano di rilancio serio”.Poi il mea culpa: “Abbiamo pagato le divisioni tra i sindacati, dobbiamo smetterla di dividerci. Siamo di fronte al fatto che Fiat sta andando via da Termini Imerese e dal nostro paese”.
Finisce con le bandiere ripiegate e il cuore rivolto all’incontro di domani. La rabbia e l’energia del mattino perdono terreno di fronte al fatalismo dell’ora di pranzo: “Ma si concluderà qualche cosa?”, chiede una signora, immersa nei sacchetti della spesa, in dialetto termitano. La risposta di un operaio si perde lungo via Mazzini: “Non lo so, ma non potevamo stare a casa”.
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13 Febbraio 2014, 15:15