13 Luglio 2015, 06:15
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PALERMO – Di fronte ai “cumuli di macerie”, come egli stesso li definiva, di fronte alla disperazione di una regione e allo sgomento di un’intera nazione l’imprenditore rideva di gusto perché c’era “lavoro per i prossimi dieci anni”.
Il terremoto che distrusse L’Aquila, la notte fra il 5 e il 6 aprile del 2009, per Carmelo Virga rappresentava, solo ed esclusivamente, un’occasione per fare business sulla pelle dei disperati. Alcune intercettazioni, che pubblichiamo in esclusiva, ci consegnano la fotografia di un imprenditore “senza scrupoli”, come l’ha definito la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo che a Virga e ai suoi parenti, costruttori originari di Marineo, ha sequestrato un patrimonio che viene stimato dalla Direzione investigativa antimafia in un miliardo e seicento milioni di euro. Numeri che fanno del provvedimento, proposto e ottenuto dalla Dia di Palermo, il più grande mai eseguito in Italia.
Dalle conversazioni emergono pure inquietanti contatti e possibili interferenze con i palazzi del potere – in particolare con il ministero degli Esteri – per mettere le mani sulle commesse per la ricostruzione post terremoto. I contatti sono quelli registrati fra Virga e coloro che anni prima, da pentiti, erano stati i suoi grandi accusatori: Salvatore Lanzalaco e Pietro La Chiusa.
Mentre l’Italia intera piangeva, due settimane dopo il terremoto che provocò 309 morti, la distruzione della quasi totalità degli edifici della città abruzzese e oltre 70 mila sfollati che attendono, ancora oggi, la fine dell’incubo, Virga era già stato sul posto a caccia di affari. Lo dimostrano anche le intercettazioni che gli investigatori hanno registrato con Franco Diesi, imprenditore originario di Corleone, condannato in primo grado e assolto in appello per mafia, a cui il prefetto di Milano ha impedito con un’informativa di lavorare nei cantieri di Expo.
“Oggi sono andato nelle zone terremotate – raccontava Virga a Diesi il 22 aprile di sei anni fa -… io sono andato a Terni, poi sono arrivato alle porte di Perugia, posi sono andato a Fabbro da me… poi a Calvi dell’Umbria che mi stanno approvando un progetto… erano le due e ho detto – proseguiva – ora ci vado e sono scappato per L’Aquila, minchia disastri”. Diesi aggiungeva che “… già i primi 50 milioni di euro glieli hanno mandati”. E Virga lo tranquillizzava: ”E vabbè ma ancora privati non ce ne sono. Là è tutto protezione civile, vigili del fuoco, pompieri…”. Pregustava grandi affari. Non stava nella pelle l’imprenditore di Marineo: “… minchia ci dobbiamo andare, secondo me per dieci anni, per i prossimi dieci anni di lavoro solo là saranno per l’Italia, per l’edilizia… minchia quante macerie… cumuli di macerie”.
E rideva, rideva assieme a Diesi – annotano gli investigatori nelle informative – mentre faceva riferimento alla tragedia abbattutasi sugli aquilani. Non importava quale fosse il suo interlocutore, ogni qualvolta affrontava la triste vicenda del terremoto Virga mostrava felicità. Ad esempio lo ha fatto poche ore dopo di quel 22 aprile parlando con un architetto che gli aveva chiesto: “Allora ce n’è di lavoro là?”. Vent’anni di lavoro, iniziando ora”, rispondeva Virga, facendo seguire le sue parole con un’immancabile risata.
Sette giorni dopo, il 29 aprile, l’imprenditore a cui la Dia ha sequestrato tutti i beni era al telefono con Pietro La Chiusa che presumibilmente, annotano gli investigatori, passò la cornetta a Lanzalaco in un intreccio di certo inquietante fra accusatori e accusato. E Lanzalaco gli spiegava: “Già con quello ci abbiamo parlato ieri… ieri io ho perso tutta la mattinata al Ministero degli Esteri a parlare con questo… ora lui mi ha detto… dammi un po’ di carte… un po’ di cose che la cosa si può fare… perché a quanto… vabbè poi appena ci vediamo ti spiego”.
Virga cercava di infilarsi negli appalti per la ricostruzione: “Perché onestamente qualcosa la vorrei intrapre… perché c’è tutto da fare… organizziamo uno studio tecnico privato… mettiamo quattro baracche di legno in qualunque modo organizziamo… compriamo un pezzo di terreno”. E Lanzalaco lo tranquillizzava: “Abbiamo proprio i riferimenti giusti”. Virga aveva fretta: “Quando dici tu io salgo perché il tempo è ora”. Sei anni dopo non sappiamo, se e come i progetti dell’imprenditore siano stati messi in pratica. Resta il pugno nello stomaco di quelle incomprensibili risate.
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13 Luglio 2015, 06:15