08 Gennaio 2017, 08:10
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Alla fine del Settecento i banchetti di corte divennero molto affollati e rumorosi. Per questo motivo re Ferdinando I di Borbone re delle Due Sicilie (già IV re di Napoli e III re di Sicilia) – che aveva deciso di trasferire la sua residenza dal Palazzo Reale al suo piccolo padiglione da caccia privato – fece costruire un’ingegnosa tavola matematica. Essa consisteva in un tavolino da pranzo in legno di forma circolare, dove ogni sottopiatto era dotato di un meccanismo di funi e carrucole che riuscivano a fare salire e scendere le pietanze direttamente dal piano sottostante alla tavola, senza la necessità di camerieri in sala. Ispirata alla famosa “table muovant”, fatta installare da Luigi XV nel Petit Trianon (il padiglione privato nel parco della reggia di Versailles), questa tavola matematica fu progettata dal più famoso architetto palermitano del tempo Giuseppe Venanzio Marvuglia (1729 – 1814). Un sistema di campanelli avvertiva la servitù che doveva azionare i tiranti e alcuni nastri, i cui colori erano abbinati alle diverse pietanze. Un cambiamento epocale nello stile di vita dell’aristocrazia, iniziato ai primi dell’Ottocento, quando il convivio diviene un momento privato e inviolabile. Il padiglione da caccia, in stile cinese, immerso nel Real Parco della Favorita, ristrutturato nel 1798 dal Marvuglia per il Re, era un edificio d’avanguardia, con le cucine separate dal corpo centrale ad evitare gli odori e il vagabondare di cuochi e servitù. Quest’attenzione della committenza per una residenza che non fosse solo sfarzosa ma anche fruibile nel quotidiano, si ritrova anche nella sala da bagno, al piano inferiore, dove una grande vasca ovale in marmo, incassata nel pavimento, risponde ad esigenze abitative di grande modernità per l’epoca.
La Palazzina cinese non è quindi solo un’eccezionale e originale tributo all’esotismo di moda in Europa, ma anche un progetto architettonico innovativo che ha anticipato forme neoclassiche e motivi cinesi in accostamenti fantasiosi. Un luogo di “sollazzo” simile a quello di San Leucio, uno dei siti inglobati nella Reggia di Caserta che i reali avevano dovuto abbandonare per fuggire da Napoli in seguito ai tumulti legati all’eco della Rivoluzione Francese (la regina Maria Carolina era la sorella prediletta della regina Maria Antonietta di Francia). Arrivato a Palermo, il Re Ferdinando incaricò il viceré Giuseppe Riggio, principe di Aci, di cercare un sito adatto al loro diletto e la scelta cadde sulla palazzina appartenuta al barone Don Benedetto Lombardo della Scala nella Piana dei Colli, zona delle ville extraurbane della città, dove il re amava andare a caccia. Attraverso editti reali speciali, il sovrano espropriò molti feudi appartenuti ai nobili del tempo (Ajroldi, Salerno, Pietratagliata, Niscemi, Vannucci, Malvagna) per creare un immenso parco verde di circa 400 ettari fino alle pendici di Monte Pellegrino. Già costruito in stile cinese dal primo committente, il padiglione fu “aggiornato” nell’architettura e nella decorazione interna per volere del Re e molte delle scelte più originali furono realizzate agli inizi dell’Ottocento. Tra il 1805 e il 1809, per la decorazione degli interni, furono coinvolti artisti quali Benedetto Cotardi, Giuseppe Velasco, Giuseppe Patania e Raimondo Gioia, specializzati non solo nelle pitture di gusto orientale, tra il cinese e il neo-turco, ma anche nello stile neo-pompeiano (legato alla moda dell’antico dopo le scoperte degli scavi di Ercolano e Pompei sostenute dal re). Tra i trompe-l’oeil di grande effetto, nel seminterrato si trova quello della “sala delle rovine”, accanto alla sala da ballo, che ripropone un finto muro danneggiato che sembra aprirsi su uno “sfondato” di cielo. Accanto ai saloni di rappresentanza al piano rialzato, c’è la camera da letto del re: una stanza delimitata da colonne in marmo tra le quali era posto un baldacchino. Il soffitto affrescato è attribuito a Velasco e Cotardi (gli stessi artisti che il re volle successivamente per la decorazione della Sala d’Ercole, il parlamento, a Palazzo Reale) presenta pavoni dalle piume colorate e personaggi abbigliati secondo un immaginario stile cinese (le donne con ventagli e gli uomini con lunghissimi baffi) che rendono omaggi a dignitari orientali seduti con le gambe incrociate su troni di morbidi cuscini, all’ombra di tendaggi e pagode. Tra la camera del re e la sala da pranzo si trova la Galleria centrale, aula d’ingresso, decorata da stoffe di seta dipinte con tralci di peonie, sulle quali volteggiano lievi farfalle e altri uccelli, simboli asiatici di abbondanza e benessere. Questi preziosi tessuti di broccato si alternano a pareti affrescate con ideogrammi cinesi veritieri o inventati.
Tra gli elementi più originali della struttura architettonica, disposta su tre elevazioni, che presenta una marcata assialità voluta dal Marvuglia, svettano ai due lati le torri da cui si accede ai vari piani. Queste, realizzate nel 1806 dal Real capomastro Giuseppe Patricolo, hanno una forma cilindrica con pinnacoli e ospitano le scale elicoidali a giorno. L’attenzione per ogni dettaglio è evidente anche nella cancellata esterna, decorata con piccoli campanellini in ferro, i quali oscillano al soffiare del vento, diffondendo suoni che riecheggiano un’atmosfera orientale.
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08 Gennaio 2017, 08:10