17 Luglio 2019, 10:33
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È con il mito di Tiresia che Andrea Camilleri ha lasciato la sua ultima, e profonda, impronta. In quegli occhi spenti dalla cecità che non gli hanno impedito di guardare. Nelle sue parole, cavernose, che si sono fatte poesia e letteratura. In quel monologo dell’uomo che si rifugia nel silenzio per difendersi dal chiasso dei tempi moderni.
L’impronta di Camilleri è un patrimonio che si deve all’intuizione del regista Roberto Andò che lo ha voluto sul palco. L’ideatore del commissario Montalbano, cieco per destino, che incarna l’indovino Tiresia. Tiresia aveva il dono di predire il futuro, di raccontare a parole ciò che non era ancora ma che sarebbe stato.
“Ascolta il vecchio che racconta tutto quello che ha vissuto”: Camilleri-Tiresia entrava in scena con queste parole. La cecità non era una resa, ma un punto di partenza per vedere laddove gli occhi devono fermarsi, per andare oltre l’apparenza spacciata per sostanza. Le cose importanti diventano contorno. “Oggi si vive il paradossi di guardare molto e vedere pochissimo”, aveva detto detto Andò.
Tiresia-Camilleri ci ha costretto a vedere le cose con una prospettiva verticale, che scava dentro. Lui, uomo sofferente, si è offerto al pubblico, seduto su una poltrona al centro delle scena. È divenuto cantastorie delle sue memorie e cantore della sopravvivenza dell’umano. Per sopravvivere bisogna guardasi dentro, preferire il silenzio alle parole inutili. Specie quelle vomitate nell’arena social. Non ci si può sorprendere del fatto che Camilleri sia stato offeso persino in punto di morte. Accade in quel chiasso a cui Camilleri-Tiresia contrapponeva la cecità che guarda oltre l’apparenza.
Superbia e arroganza sono i tratti distintivi dell’oggi. E con essa, spesso, anche della politica, che urla per mostrarsi forte. Tiresia-Camilleri ci ha indicato una strada diversa, quella del ragionamento, dove urlare non serve. Guardarsi dentro, però, è tremendamente più complicato di un post.
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17 Luglio 2019, 10:33