23 Ottobre 2017, 15:04
4 min di lettura
PALERMO – Aveva sei anni quando le rapirono il padre. Oggi si costituisce parte civile al processo contro cinque imputati accusati di avere ammazzato Giampiero Tocco. Fu proprio la bambina, che era in auto con il genitore, a disegnare la scena.
Per l’omicidio sono stati condannati all’ergastolo i boss di San Lorenzo Salvatore e Sandro Lo Piccolo e Damiano Mazzola, mandanti dell’agguato e a otto anni i collaboratori di giustizia Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio, accusati del sequestro e dell’uccisione. Mesi fa, grazie alle rivelazioni del pentito Antonino Pipitone, sono stati scoperti i ruoli nell’assassinio di altre persone: Salvatore Gregoli, Vincenzo e Giovanbattista Pipitone.
I carabinieri hanno messo a posto i pezzi mancanti diciassette anni dopo quel 26 ottobre del 2000, quando un commando dei finti poliziotti entrò in azione in via Papa Giovanni XXIII a Terrasini. Già nel 2008 Pulizzi aveva fatto il nome di Gregoli, ma le sue dichiarazioni da sole non erano bastate per incriminarlo. Sarebbe stato Gregoli ad avvicinarsi alla macchina. ”
Deve venire con noi in caserma”, disse alla vittima. Alla scena, a pochi metri di distanza, avevano assistito Mazzola e Lo Piccolo Erano a bordo di un’altra macchina e armati con una mitraglietta.
Giampiero Tocco era legato alla sedia, al cospetto del suo carnefice, il boss di San Lorenzo. Il macellaio di Terrasini era accusato di avere attirato in trappola Peppone Di Maggio, figlio del capomafia di Cinisi, don Procopio, alleato del capomafia di San Lorenzo.
“Lo sai chi sono io?”, chiese il boss a Tocco. Lui chinò il capo: “Sì e ne sono onorato”. Lo Piccolo gli contestò la partecipazione all’omicidio e il macellaio rispose: “Fu deciso da persone che stanno molto in alto”. Forse alludeva a Bernardo Provenzano che nel 2000 era il capo di Cosa nostra. Totuccio, il barone di San Lorenzo, fu di poche parole: “Tu non hai capito che l’alto sono io”.
Settembre 2016. Antonino Pipitone, boss di Carini e ormai pentito, racconta i retroscena dell’omicidio al pubblico ministero Roberto Tartaglia. Lui sa chi e perché decise di ammazzare Giampiero Tocco: “Nei primi anni duemila… appresi della scomparsa del fratello di Gaspare Di Maggio, di nome Peppone. Salvatore e Sandro Lo Piccolo erano particolarmente innervositi per quella notizia. Dopo la scomparsa, si iniziò a cercare Peppone nella zona di Cinisi, ma senza alcun risultato. Dopo un po’ di tempo si seppe che il corpo era stato ritrovato a Cefalù”.
La macchina della giustizia sommaria dei boss Lo Piccolo si era messa in moto: “Iniziarono un’attività volta a capire chi fosse stato responsabile di questo omicidio, ma non so dire né quali canali attivarono, né a quali risultati giunsero. Un po’ di tempo dopo, Salvatore e Sandro Lo Piccolo ci dissero che avremmo dovuto indossare uniformi da poliziotti, che furono fornite da Pulizzi”.
E venne il giorno dell’esecuzione del piano di morte: “Nella macchina c’ero io (che guidavo), due persone di Palermo che non avevo mai visto prima e una quarta persona che in questo momento non ricordo. Tutti indossavamo una pettorina della polizia e ricordo anche la presenza di un lampeggiante. La macchina era una Fiat Uno rubata e partimmo dalla casa di Vito Palazzolo. Pulizzi e Ferdinando Gallina si occupavano di fare la staffetta”. Una volta rapito Tocco “siamo quindi andati a Torretta da Angelo Mannino, nella sua abitazione. A casa di Mannino c’erano Salvatore e Sandro Lo Piccolo, i miei zii Vincenzo e Giovan Battista, Angelo Conigliaro, Ferdinando Gallina, Angelo Mannino e Antonino Di Maggio e Gaspare Pulizzi”.
Il racconto si fa macabro: “Tocco venne legato a una sedia per essere interrogato: durante questo interrogatorio rimasero dentro i miei zii Vincenzo e Giovan Battista e i due Lo Piccolo, Damiano Mazzola ed anche i due palermitani che erano stati nella macchina con me”. A Nino Pipitone toccò il lavoro sporco: “Dopo un po’ di tempo, fui chiamato da mio zio Giovan Battista che disse che avremmo dovuto portare il corpo in campagna: se ne occuparono materialmente Pulizzi e Gallina. Arrivati in campagna, alla presenza dei miei zii e di Antonino Di Maggio, il corpo fu messo in un fusto di acido e sciolto: ricordo che Angelo Conigliaro (nel frattempo deceduto), che dava ogni tanto una mescolata al fusto, conservò anche gli effetti personali di Tocco”.
Parti civili al processo davanti al Gup, oltre alla figlia, saranno anche la madre e due fratelli.
Pubblicato il
23 Ottobre 2017, 15:04