19 Settembre 2024, 06:30
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CATANIA – Per un’estate intera siamo stati tutti Totò Schillaci. Anche a Catania, senza badare a inutili differenze di campanile.
Trentaquattro anni fa, adulti e bambini trovarono in lui l’eroe da incarnare. Soprattutto quei ragazzini che non si stancavano mai di giocare a calcio su campi improvvisati: alcune volte sull’asfalto rovente, tante altre sulla ghiaia di strade mai ultimate. Le porte, manco a dirlo, erano tutt’altro che regolamentari. Una cartolina che allora arrivava tale e quale da tutte le parti dell’isola, mentre indistintamente si sognavano “le notti magiche”.
E diciamolo pure: faceva piacere che – almeno per una volta – a unire l’intera nazione, verso una vittoria mondiale poi sfumata ai calci di rigore contro l’Argentina di Maradona, fosse un siciliano. Non un palermitano. E neanche un ex calciatore del Messina. Ma “uno di noi”. Perché a Catania, in particolare nei quartieri più disagiati, nel volto di Schillaci leggevano la stessa fame.
Era il 1990 e dirsi siciliano significava evocare un peccato originale. Una doppia colpa fatta di mafiosità e sottosviluppo cronico. Essere catanesi o palermitani significava condividere la medesima frustrazione, lo stesso senso di minorità rispetto “al Continente”.
In quel mare di pesantezza, era il 1989, il Mery per sempre di Marco Risi – nel suo realismo disarmante – contribuì tantissimo ad amplificare quella desolazione fatta di emarginazione e devianza sociale.
Quella pellicola ebbe anche un altro risultato: diffondere in tutta la Sicilia quella parlata a cantilena che condiva le battute assai volgari del film. Non c’era ragazzo a Catania che non sapesse scandirle. Anche questo va detto e sottolineato.
Totò Schillaci fece tantissimo per diradare quella narrazione squalificante. Lo fece a suon di gol. Lo fece con la maglia azzurra. Lo fece con la sua determinazione, unendo tutti. Anche a Catania piaceva tantissimo la favola del siciliano che va a giocare per la Vecchia Signora e vincere. Forse perché ci vedevano lo stesso racconto che con Pietro Anastasi – il compianto Pietro il Turco – aveva offerto una rivincita alla gente del Meridione tutto, dei tanti operai emigrati al Nord.
La favola di Schillaci è durata forse troppo poco. Dal Messina alla Juventus di Dino Zoff, fino alla conquista di due trofei prestigiosi: la Coppa Uefa, nella doppia sfida contro la Fiorentina, e la Coppa Italia contro il Milan degli olandesi. E poi Italia ’90, il mondiale della consacrazione.
Era un atleta che sapeva vincere e convincere, mentre le siciliane del calcio – Catania, Palermo, Giarre e Siracusa – non avevano la forza di guardare oltre la C1. In serie B, contemporaneamente, Messina e Licata faticavano parecchio per mantenere la categoria.
Sarà il secondo anno a Torino, con Luigi Maifredi in panchina e il leggendario Roberto Baggio a fianco, a segnare l’avvio di una lenta e inesorabile discesa sportiva.
Di Schillaci resta il bel sogno. Un sogno che in quella fase storica, fatta di tanta tristezza, non poteva dar adito a siparietti campanilistici di scarso valore morale. E quel sogno fa ancora oggi il paio con un altro Totò, il protagonista di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, film che incasserà l’Oscar sempre nel 1990.
Ebbene, entrambi sono stati e restano simboli di una Sicilia che, quando vuole, sa mettere da parte le rivalità intestine. E vincere.
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19 Settembre 2024, 06:30